30 novembre 2023

Per una Palestina libera, laica e socialista. In un Medio Oriente socialista

Oggi noi compagni del PCL eravamo al liceo scientifico L. da Vinci di Reggio Calabria per l'attività di volantinaggio a sostegno del popolo palestinese.

  • Per la fine dell’assedio e del massacro di Gaza
  • Al fianco della resistenza palestinese
  • Per la liberazione della Palestina e la distruzione rivoluzionaria dello Stato di Israele
  • Per una Palestina libera, laica e socialista nell’ambito di una Federazione socialista del Medio Oriente

 



 

 

 

 

 

 

 

 

Partecipa al dibattito con Marco Ferrando, portavoce nazionale del PCL.

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Leggi il testo del volantino distribuito: ✊

 

PER UNA PALESTINA LIBERA, LAICA E SOCIALISTA

In un Medio Oriente socialista

Non c’è soluzione della questione palestinese senza la distruzione rivoluzionaria dello Stato sionista

In queste ore si susseguono i bombardamenti sulla popolazione civile di Gaza. Non vengono risparmiati luoghi di culto, scuole ed ospedali, dove cercano un disperato rifugio soprattutto bambini e donne. Un massacro. Ma forse l’aspetto ancora più disumano è l’assedio totale, di stampo medievale, dichiarato dal governo israeliano ad un territorio in cui vivono oltre due milioni di persone. Centinaia di migliaia sono i cittadini costretti a scappare di casa per non fare più ritorno. È una nuova catastrofe per il popolo palestinese, una nuova Nakba, paragonabile a quella del 1948.

Innanzitutto, è necessario fermare questo genocidio. Il popolo palestinese sia a Gaza che in Cisgiordania sta resistendo. Lo sta facendo da anni, sia con le mobilitazioni di piazza che con le armi. Il Partito Comunista dei Lavoratori, sezione italiana della Opposizione Trotskista Internazionale (OTI), è incondizionatamente al fianco di questa resistenza, seguendo la tradizione sempre propria del trotskismo, che nel 1948 fu l’unica corrente del movimento operaio internazionale che si pronunciò contro la nascita dello Stato di Israele, mentre tutte le altre, in particolare gli stalinisti, sostennero apertamente lo Stato coloniale sionista contro il popolo arabo.

Lo Stato d’Israele si fa forte del sostegno delle potenze “democratiche” d’Occidente. Un sostegno politico, economico, militare. Lo stesso sostegno che già viene offerto alla prossima annunciata invasione di terra. Lo stesso sostegno di cui Israele ha goduto nei 75 anni di occupazione della Palestina.

Lo Stato d’Israele non si tocca. Questa è la sintesi della diplomazia mondiale, ma anche della pubblica informazione. Noi abbiamo denunciato da sempre la natura reazionaria di Hamas e le sue azioni contro i civili. Ma un conto è criticare Hamas dentro il campo della resistenza palestinese, un altro è usare cinicamente l’azione di Hamas per coprire i crimini del sionismo contro i palestinesi e la loro resistenza. L’assimilazione di antisionismo e antisemitismo è assunta come clava nel dibattito pubblico, come forma di intimidazione verso il sostegno alla Palestina, come scudo protettivo dei crimini d’Israele. Due popoli, due Stati dicono i benpensanti, ma dove dovrebbe situarsi uno Stato palestinese a fianco dell’intoccabile Israele? Basta porre questa domanda elementare per diradare la nuvola di fumo. Oggi la Cisgiordania è occupata da settecentomila coloni israeliani armati che, impuniti e protetti dalle truppe, organizzano spedizioni squadristiche contro i contadini palestinesi. Gaza è sotto un assedio genocida. Dunque, chiediamo ancora: dove dovrebbe situarsi un fantomatico Stato palestinese rispettoso dello Stato d’Israele? In quale sgabuzzino dovrebbe rassegnarsi a vivere?

Solo una Palestina libera dal sionismo, una Palestina laica, una Palestina socialista, può realizzare l’autodeterminazione del popolo palestinese, a cominciare dal diritto al ritorno di milioni di palestinesi cacciati dalla propria terra fin dal 1948. Solo questa Palestina, riconoscendo i diritti nazionali della minoranza ebraica, può consentire la pacifica convivenza di arabi ed ebrei.

Le grandi mobilitazioni delle masse arabe in questi giorni, in Algeria, in Egitto, in Tunisia, e soprattutto in Giordania e in Iraq, ci dicono che la grande maggioranza della popolazione araba supporta la lotta palestinese come una propria ragione di liberazione e di riscatto. Sviluppare ed estendere la ribellione araba a fianco del popolo palestinese, guadagnarla ad una prospettiva antimperialista e antisionista, è il compito dei marxisti rivoluzionari palestinesi e arabi. Estendere al massimo la mobilitazione al fianco del popolo palestinese a livello mondiale è il compito urgente dei marxisti rivoluzionari di tutto il mondo.

·        Per la fine dell’assedio e del massacro di Gaza

·        Al fianco della resistenza palestinese

·        Per la liberazione della Palestina e la distruzione rivoluzionaria dello Stato di Israele

·        Per una Palestina libera, laica e socialista nell’ambito di una Federazione socialista del Medio Oriente

 

Partito Comunista dei Lavoratori

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28 novembre 2023

Non c'è soluzione della questione palestinese senza il superamento dello Stato di Israele

Dibattito con Marco Ferrando, portavoce nazionale del PCL

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In queste e nelle prossime settimane le sezioni del PCL sono impegnate nell'organizzazione di iniziative di solidarietà con il popolo palestinese, a partire dalla promozione di assemblee e dibattiti su ciò che sta accadendo a Gaza da quasi due mesi e sulle radici della situazione odierna, alla luce della storica e coraggiosa lotta pluridecennale del popolo palestinese contro l'oppressione sioniste e l'imperialismo.

"Due popoli, due Stati” dicono i benpensanti. Ma dove dovrebbe situarsi uno Stato palestinese a fianco dell’intoccabile Israele? Basta porre questa domanda elementare per diradare la nuvola di fumo. Oggi la Cisgiordania è occupata da settecentomila coloni israeliani armati che, impuniti e protetti dalle truppe, organizzano spedizioni squadristiche contro i contadini palestinesi. Gaza è sotto un assedio genocida. Dunque, chiediamo ancora: dove dovrebbe situarsi un fantomatico Stato palestinese rispettoso dello Stato d’Israele? In quale sgabuzzino dovrebbe rassegnarsi a vivere?

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Partito Comunista dei Lavoratori

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23 novembre 2023

Comunicato del PCL sulla manifestazione contro la guerra e tutte le guerre del 24 novembre

Cari amic@ e car@ compagn@ non possiamo sottoscrivere il vostro appello (MANIFESTAZIONE CONTRO LA GUERRA CONTRO TUTTE LE GUERRE) anche se ne apprezziamo l’intento, non possiamo firmarlo per un insieme di ragioni che qui sotto riporteremo ma parteciperemo alla vostra iniziativa che reputiamo essenziale al fine di sensibilizzare la città di Reggio Calabria sul tema della guerra, 

Lo Stato d’Israele si fa forte del sostegno delle potenze “democratiche” d’Occidente.

Un sostegno politico, economico, militare. Lo stesso sostegno che già viene offerto alla prossima annunciata invasione di terra. Lo stesso sostegno di cui Israele ha goduto nei 75 anni di occupazione della Palestina con numerose risoluzioni dell’ONU mai rispettate. Lenin aveva ragione quando definiva la Società delle Nazioni (padre dell’odierna ONU)  “un covo di briganti”.

Lo Stato d’Israele non si tocca”. Questa è la sintesi della diplomazia mondiale, ma anche della pubblica informazione. Noi abbiamo denunciato da sempre la natura reazionaria di Hamas e le sue azioni contro i civili. Ma un conto è criticare Hamas dentro il campo della resistenza palestinese, un altro è usare cinicamente l’azione di Hamas per coprire i crimini del sionismo contro i palestinesi e la loro resistenza. L’assimilazione di antisionismo e antisemitismo è assunta come clava nel dibattito pubblico, come forma di intimidazione verso il sostegno alla Palestina, come scudo protettivo dei crimini d’Israele è un metodo oltre che falso sbagliato.

La verità è che ogni soluzione della questione palestinese passa per il diritto al ritorno.

E ogni diritto al ritorno mette in discussione l'esistenza dell'attuale Stato d'Israele. Non degli ebrei naturalmente, ma dello Stato sionista. Di uno Stato coloniale nato dall'espulsione di un altro popolo.

Solo una Palestina libera dal sionismo, una Palestina laica, una Palestina socialista, può realizzare l'autodeterminazione del popolo palestinese, riconoscendo i diritti nazionali della minoranza ebraica. Solo una simile soluzione consentirebbe la pacifica convivenza di arabi ed ebrei.

Qui vi è un aggredito Palestina e un aggressore lo stato d’Israele, stessa cosa vale per la Russia imperialista di Putin con l’Ucraina, diritto di resistenza dell’Ucraina senza nessun sostegno politico al suo governo

IL PCL è contro la guerra ma riconosce come è nella storia e tradizione del marxismo di rivoluzionario il diritto di autodeterminazione.

 

Partito Comunista dei Lavoratori

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20 novembre 2023

Perché Izquierda Socialista ha ragione

Il prossimo 19 novembre il popolo argentino si troverà a scegliere la guida politica del Paese. I candidati al ballottaggio sono due ed entrambi rappresentanti del capitale finanziario, ma con una declinazione politica diversa, sensibilmente diversa. Da una parte abbiamo un rappresentante del finto progressismo che potremmo definire di centrosinistra, sostenuto dalla burocrazia sindacale, Sergio Massa, e dall’altro il rappresentante dell’ultradestra, Milei, che già ha dichiarato di smantellare i pochi diritti del mondo del lavoro, rivendicando in più il genocidio della dittatura militare con l'obiettivo di liberare i soldati giudicati per le drammatiche violazioni dei diritti umani.
Questo individuo non deve raggiungere il potere.

Le organizzazioni del FIT-U – ovvero il fronte rivoluzionario delle forze trotskiste – hanno espresso pareri discordanti in merito a questa votazione. IL PTS non ha smentito, non ha perso tempo, la sua natura settaria e opportunista scrivendo un comunicato ai più incomprensibile ove in sostanza non si lancia un appello a fermare la destra reazionaria, così come in modo similare il MST, mentre il PO ha assunto, mi verrebbe da dire come è sua prassi, una posizione del tutto “sballata” invitando l’elettorato ad una astensione attiva. Unica organizzazione che ha mostrato comprensione per il metodo marxista rivoluzionario è stata Izquierda Socialista, che ha spiegato bene, in un suo proprio comunicato, perché è opportuno criticamente votare per Massa contro l’ultradestra reazionaria.

Questa situazione, un po’ come il centralismo democratico, svela la vera natura delle organizzazioni marxiste rivoluzionarie. Qualcuno può obiettare che è semplicemente un aspetto tattico, ci dicono che “non possiamo fare la lastra alle organizzazioni in base al loro rapporto con le elezioni”. In realtà questo aspetto tattico racchiude un metodo politico, e sul metodo spesso nascono le differenze tra i movimenti trotskisti.

Storicamente le organizzazioni marxiste rivoluzionarie, salvo in rari contesti sociali, hanno utilizzato le elezioni borghesi come una sorta di megafono per le proprie idee. Nel 1919 Lenin in una Lettera agli operai d’Europa e d’America, Lenin scriveva: «Il parlamento borghese, sia pure il più democratico della repubblica più democratica in cui si conservi la proprietà dei capitalisti e il loro potere, è una macchina che serve a un pugno di sfruttatori per schiacciare milioni di lavoratori. I socialisti, che lottano per liberare i lavoratori dallo sfruttamento, hanno dovuto servirsi dei parlamenti borghesi come tribuna, come una delle basi per la propaganda, per l’agitazione, per l’organizzazione, finché la nostra lotta era racchiusa nei limiti del regime borghese.»

Sempre Lenin:

«i comunisti, [...] denunciano e rivelano agli operai e alle masse lavoratrici la pura e semplice verità: di fatto, la repubblica democratica, l'Assemblea costituente, il suffragio universale, ecc. sono la dittatura della borghesia, e per emancipare il lavoro dall'oppressione del capitale non c'è altra via che la sostituzione di questa dittatura con la dittatura del proletariato. Solo la dittatura del proletariato può emancipare l'umanità dall'oppressione del capitale, dalla menzogna, dalla falsità, dall'ipocrisia della democrazia borghese, che è la democrazia per i ricchi, e instaurare la democrazia per i poveri, cioè rendere effettivamente accessibili agli operai e ai contadini poveri i benefici della democrazia, che restano oggi (pesino nella repubblica - borghese - più democratica) inaccessibili di fatto alla stragrande maggioranza dei lavoratori» (1).

Lenin e i bolscevichi non hanno mai visto nella giostra elettorale uno strumento utile per poter modificare i rapporti di forza e i rapporti di classe, ma sempre come necessario al fine di divulgare le posizioni dei marxisti rivoluzionari. Soprattutto, Lenin specificava anche la forma i cui i marxisti elettorali dovevano partecipare:

«i socialisti devono agire in modo indipendente nella lotta elettorale. Nelle elezioni di primo grado gli accordi sono ammissibili soltanto come eccezione, e per di più con quei partiti che pongono come parola d'ordine del momento la costituente popolare, la confisca di tutte le terre, la giornata lavorativa di otto ore, ecc» (2).

Lenin dunque delinea bene quali sono le basi per possibili accordi e differenzia, come logico sia, il “primo turno” dal “secondo”. I bolscevichi e i trotskisti successivamente hanno sempre avuto una visione complessiva della questione, ovvero nella stragrande maggioranza dei casi la scelta astensionista è una scelta poco dialettica e utile per la classe operaia, invece quella dell’appoggio critico (naturalmente se sviluppata attivamente, come Trotsky spiega in In difesa del marxismo, in merito alle elezioni in USA) può essere una sorta di ponte verso la classe operaia. Trotsky:

«C’è una campagna presidenziale. Se siete un partito indipendente, dovete avere una politica, una linea su questa campagna. Ho cercato di combinare le due cose in un periodo non decisivo, ma importante. Si tratta di rispondere ai sentimenti onesti dei militanti di base stalinisti e di raggiungere le masse nel momento delle elezioni. Se aveste un candidato indipendente sarei favorevole, ma dov’è? Quindi o vi astenete completamente dalla campagna per motivi tecnici oppure dovete scegliere tra Browder e Norman Thomas. Possiamo accettare l’astensione. Lo stato borghese ci toglie la possibilità di presentare i nostri candidati. Possiamo proclamare che tutti sono imbroglioni. Questo è una cosa, ma un’altra cosa è che i fatti confermino la nostra tesi. Dobbiamo adottare una politica negativa o una politica dinamica? Devo dire che durante la conversazione mi sono convinto ancora di più che dobbiamo seguire un corso dinamico.»

La Quarta Internazionale nel primo dopoguerra seguì la medesima tattica, invitando a votare al PCI spiegando attivamente le responsabilità della burocrazia stalinista ma sapendo al tempo stesso che un partito operaio avrebbe dato alle organizzazioni marxiste rivoluzionarie la possibilità di dialogare con la base delle organizzazioni operaie, così come fu nel referendum in Cile contro Pinochet nel 1988: nessuna fiducia per le istituzioni borghesi ma contro la reazionaria dittatura che avrebbe continuato a distruggere la classe operaia. Gli esempi sarebbero molti ma il punto non è semplicemente riconducibile ad un insieme di citazioni. Noi da marxisti rivoluzionari viviamo le elezioni come mera propagandare al fine di diffondere il programma rivoluzionario, una sorta di calamita per avvicinare la classe operaia alle rivendicazioni marxiste rivoluzionarie. I trotskisti devono avere un approccio dialettico rispetto all’elezioni, rifiutando le distorsioni bordighiste e neobordighiste (anarco, riformiste e bordighiste, come quelle di Lotta Comunista) che si saldano sull’astensionismo strategico. 

Eugenio Gemmo




Note 

(1) Lenin, Democrazia e Dittatura (1918)

(2) Lenin, La lotta elettorale a Pietroburgo e i menscevichi


 
 

Partito Comunista dei Lavoratori

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17 novembre 2023

Da uno sciopero rituale a un vero sciopero generale! Per la difesa del diritto di sciopero

Stamattina, a piazza Italia, si è tenuto il presidio organizzato da CGIL e UIL contro le politiche del governo. Noi compagni del Partito Comunista dei Lavoratori eravamo presenti per portare il nostro sostegno al mondo del lavoro e ribadire la nostra posizione.

Il testo del volantino distribuito:

 

DA UNO SCIOPERO RITUALE

A UN VERO SCIOPERO GENERALE!

PER LA DIFESA DEL DIRITTO DI SCIOPERO

 

«Sciopero, sciopero generale!» era questo il grido di battaglia di lavoratori e lavoratrici emerso nella grande piazza di Roma del 7 Ottobre, quando la Cgil ha radunato circa 200˙000 persone come propedeutica a un’eventuale mobilitazione, preceduta a sua volta da una specie di referendum interno tra gli iscritti per validare la linea scelta da Landini.

Oggi è lo stesso diritto di sciopero ad essere messo in discussione. Dagli scranni del governo il ministro Salvini ha tuonato ed il garante a disposto che lo sciopero generale del 17 non è autorizzato.

Questo attacco cambia la natura della mobilitazione: oggi bisogna scioperare e scendere in piazza per difendere il diritto di sciopero

Non è difficile immaginare che quei lavoratori, con sciopero generale, non avessero in mente esattamente la mobilitazione rituale a cui la burocrazia Cgil ci ha ormai abituato. Da un paio d’anni è all’insegna dell’unità con la UIL, stante l’impossibilità di unire la Cisl persino per simili rituali.

La Cgil arriva a questo appuntamento senza un bilancio dell’analoga mobilitazione dell’anno scorso. Allora scioperammo il 12 Dicembre, dopo l’apertura di Landini al Governo Meloni “senza pregiudiziali”. Oggi la mobilitazione è anticipata di circa un mese. Come allora, la forza già non dirompente, per l’impostazione data dalle burocrazie sindacali, viene diluita ulteriormente dividendo lavoratrici e lavoratori: il 17 infatti sciopereranno le regioni del Centro, oltre a tutto il comparto del pubblico, dei trasporti e della conoscenza; il 20 sciopererà la Sicilia, il 24 il Nord, il 27 la Sardegna, infine il 1° Dicembre tutto il Sud chiuderà la mobilitazione.

Davvero poco per impensierire il Governo Meloni che infatti fa strame di salari e diritti nella legge di stabilità: i 41 anni di lavoro per la pensione sbandierati da Salvini, vengono rimandati con quota che da “100” o “101”, è già diventata “103” con relativo taglio dell’assegno del 15%; opzione donna diventa opzione sempre più vecchia da 60 a 61 anni, così come l’ape sociale allungata di 5 mesi. È davvero poco anche per lo scopo recondito delle burocrazie sindacali: riconquistare tavolo e riconoscimento dalla controparte.

“Non ci sono soldi” è la cantilena di Governo e giornali borghesi. Intendono per i lavoratori, perché per banche e padroni ce ne sono sempre di più, a cominciare dai 100 miliardi meno rischiosi che la borghesia incassa: quelli sul debito pubblico che lei ha creato per sostenere i suoi numerosi crack, scaricandoli sulle tasche dei salariati.

Ci sono poi 12 miliardi, da qui al 2032 (780 milioni nel 2024), per il famoso “Ponte sullo Stretto” che Salvini, per propaganda, vanta come acquisito ma che acquisito non è visto che nella legge finanziaria non è ben precisato dove andranno questi soldi. Ma in fondo che importa alla borghesia? Purché siano 12 miliardi di ponti d’oro che finiscano sempre tutti nelle sue tasche.

Non poteva mancare l’aiuto alla sanità privata, beneficiata di altri due miliardi. Tagliati invece i fondi ai disabili dopo aver già manomesso e ridimensionato il reddito di cittadinanza per “amore” degli immigrati da mandare allo sbaraglio e gratis nei campi di raccolta di pomodori eccetera.

Lo sciopero, rispetto all’anno scorso, arriva in un momento di rallentamento del capitalismo italiano. Dopo il rimbalzo post-covid, l’economia italiana ed europea torna, a livelli diversi, in sostanziale stagnazione. In molte imprese lo sciopero potrebbe essere salutato come un alleggerimento di costi. E tuttavia fuori dall’Italia, abbiamo visto grandi mobilitazioni, dalla Francia agli Usa negli stabilimenti dell’auto. Solo la Cgil, tra le grandi burocrazie sindacali, non ha mutato di una virgola la sua strategia. Inoltre, l’anno scorso, lo scenario di guerra, era concentrato sull’aggressione della Russia all’Ucraina, oggi abbiamo anche la vergogna dell’invasione di Gaza, ultimo scampolo di territorio palestinese non ancora occupato dai sionisti di Israele: la borghesia si sa, è contro le invasioni a seconda della bisogna. Insomma, motivazioni per scioperi ben più radicali di questo, Landini ne aveva a bizzeffe. Ma ha preferito comunque di correre il rischio che passi come una meteora come quello dell’anno scorso, bruciando così quel po’ di capitale di fiducia accumulato il 7 Ottobre.

 

Per noi questo sciopero deve essere impugnato dalla base dei lavoratori e delle lavoratrici, scavalcando il muro di una burocrazia che dimostra per l’ennesima volta di essere difficilmente riformabile. La lotta attualmente disarticolata, deve essere unificata e spinta a un livello superiore, proseguendo fino a piegare il governo. Quel governo che non si limita ad attaccare salari e pensioni ma vuole togliere a milioni di salariati il diritto a scioperare. È già successo varie volte nella storia del movimento operaio. E se in Francia recentemente hanno scavalcato le burocrazie, può succedere anche qui. Ci vuole una piattaforma adeguata, non delle generiche rivendicazioni come quelle espresse nel volantino di Cgil-Uil.

Una simile piattaforma può essere varata solo da un’assemblea di delegati che prenda in mano la situazione sulla base di rivendicazioni radicali e precise, adatte a ribaltare la situazione di profondo arretramento della classe lavoratrice:

Riduzione immediata a 30-32 ore di lavoro con aumento di almeno 400 euro per tutti; 12 euro minimo all’ora; eliminazione dell’indice ipca, una sorta di indice truffa che tiene conto solo di quel che vogliono i padroni, per il rinnovo dei contratti nazionali; unificazione dei contratti nazionali in un unico contratto dell’Industria, un unico contratto del pubblico e uno dei servizi; eliminazione di tutte leggi precarizzanti; eliminazione delle leggi anti-sciopero; controllo operaio sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza; apertura dei libri contabili, gli unici che possano certificare davvero i profitti (certamente più alti di quelli già stratosferici sbandierati, nonostante la recessione); patrimoniale del 10% sul 10% più ricco per finanziare sanità, scuola e servizi al collasso; soppressione delle spese militari imperialiste e dei debiti verso le banche per la nazionalizzazione del credito.

Una simile piattaforma va rivolta immediatamente al sindacalismo di base e a tutto l’arcipelago delle forze antagoniste, per un fronte unico più largo possibile, l’unico che possa opporre alla forza di governo e padroni, una forza eguale e contraria in grado di piegarli. Per sostenere una simile prova di forza, lunga e prolungata, vanno allestite, come una volta, casse di resistenza adatte allo scopo.

A chi ci dice che è utopia la nostra proposta, noi diciamo che è utopia sperare di ottenere qualcosa con scioperi così telefonati. È quello che la Storia recente non fa che riconfermarci. 
È vero però che la crisi senza fine in cui si sta avvitando il capitalismo, chiude ogni spazio ai riformisti di tutte le razze. Ma è un problema loro, non dei lavoratori. Se il capitalismo non è più nemmeno in grado di garantire le briciole ai salariati, perisca e governino i lavoratori
E possono farlo solo attraverso il loro partito rivoluzionario. Senza sono condannati alla sconfitta. È la prospettiva rivoluzionaria con cui oggi sosteniamo la mobilitazione. Non ti resta che unirti a noi se sei un’avanguardia: stai col nostro partito, il partito della rivoluzione socialista, l’unica in grado di cambiare davvero le cose.

Partito Comunista dei Lavoratori

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In ricordo di Pietro Tresso. A 80 anni dalla sua morte

Sono ormai passati ottant’anni da quando “Blasco”, Pietro Tresso, uno dei dirigenti di primo piano del movimento operaio italiano ed inter...