27 ottobre 2023

Pietro Tresso, ad ottant'anni dalla sua morte

Sono ormai passati ottant’anni da quando “Blasco”, Pietro Tresso, uno dei padri del movimento operaio italiano ed internazionale perse tragicamente la vita. La sua testa cadde come tanti altri rivoluzionari, per opera della burocrazia stalinista, colpevoli solamente di opporsi alle menzogne fabbricate da Mosca.

 

Pietro Tresso, detto "Blasco"

 

La vita di Tresso fu piena di privazioni, sofferenze e miseria. Nato nel 1893, quarto figlio di un ex mezzadro di Venezia divenuto manovale, e a nove anni dovette lasciare la scuola, imparando sin dalla tenera età il mestiere di sarto, alcune fonti riportano anche possibile operaio presso la fabbrica Lanerossi di Vicenza. Entrò presto nella gioventù socialista, e fu insieme a Bordiga e Gramsci, uno dei fondatori del PCI e membro dell’Ufficio Politico.

Grande organizzatore di sindacati contro il fascismo (famosa la lotta a Gravina di Puglia) responsabile del centro interno clandestino del PCI in Italia, rappresentò il partito comunista italiano a Mosca nel novembre del 22 durante il IV congresso dell’Internazionale comunista. La sua figura e il suo prestigio nella sinistra italiana gli costarono virulenti attacchi da parte dei fascisti che cercarono anche di ucciderlo.
La sua personalità dotata di grandi capacità politiche e organizzativa, fu descritta in maniera esemplare da Ignazio Silone:

Sotto molti aspetti, Pietro Tresso era in effetti un comunista esemplare. Caso poco frequente nel movimento operaio italiano, era un dirigente di origine proletaria che conservava intatte le qualità di freschezza e attività della sua classe sociale. Benché autodidatta, la sua viva intelligenza s’applicava allo studio degli argomenti più differenti, anche quelli che erano estranei alle necessità del lavoro pratico che il partito gli affidava. Nella conversazione con gli amici, gli piaceva manifestare il suo gusto per la conoscenza disinteressata. Era coraggioso di natura e, nelle circostanze più drammatiche del lavoro clandestino, non perdeva mai il suo buonumore.”

Nel 1930 venne espulso dal PCI, insieme a due compagni dell’Ufficio politico, Alfonso Leonetti e Paolo Ravazzoli, a causa dell’ adesione al trotskysmo.
Diede battaglia con tutta la sua tenacia alla linea avventuristica dello stalinismo, aderì all’Opposizione di Sinistra Internazionale fondata da Trotskij; da quel momento in poi lavorò fino alla morte al suo fianco, nelle file del movimento trotskista internazionale.
Nei primi anni 30, Blasco si impegnerà a costruire e a dirigere, in Italia e in Francia, la lotta sistematica alla burocrazia sovietica. Egli era infatti oramai convinto del processo degenerativo in atto nell’URSS, processo che portò il partito di Stalin e dei suoi lacchè alla divisione della classe operaia, bollando i socialisti come “socialfascisti”, contribuendo così alla vittoria del nazismo in Germania.

Nel 1943 tra il 26 e il 27 ottobre la sua vita giunge all’epilogo: verrà giustiziato a sangue freddo, in Francia, da sicari di Stalin... gli affossatori della rivoluzione”. Su chi abbia dato l’ordine ancora non vi è chiarezza sicuramente l’ordine è partito dall’alto, sappiamo che l’esecutore materiale fu il partigiano Jean Sosso (Giovanni Sosso) un uomo dell’apparato stalinista, nato in Italia ma migrato in Francia. Dopo la guerra fu inviato in Polonia come giornalista dell’Humanitè (stampa francese stalinista)

IL PC Italiano si è chiuso in un silenzio compromissorio Togliatti e Cerreti se non direttamente colpevoli erano sicuramente a conoscenza della morte di Tresso. Leonetti come ha riportato il giornalista Berardi dell’Unita (stampa del PCI) che nel dicembre del 1984, prima della morte, l’ex storico dirigente del partito ricevette all’ospedale romano del Gemelli, la visita di due uomini del che chiesero di far sparire un testo di Togliatti, che – se pubblicato – avrebbe scatenato l’inferno., Leonetti li allontanò definendoli di «corvi».

Tresso è uno di quei dirigenti come Wolf, Nin, Klement, L. Sedov che hanno dedicato la vita per il socialismo, militanti che si sono opposti alle tragedie della burocrazia staliniana, militanti che hanno lottato per l’internazionalismo comunista, pagando con la vita le loro idee. Tresso merita un adeguato riconoscimento è un’icona non solo politica ma anche morale di grande valore.

Per troppo tempo le vittime dello stalinismo sono state rimosse e cadute nel dimenticatoio, lo stalinismo non era un giudice di un tribunale operaio ma un becchino poggiato sul sangue dei rivoluzionari.


 

Bibliografia essenziale su Pietro Tresso

Assassinii nel maquis. La tragica morte di Pietro Tresso, Pierre Broué. Prospettiva Edizioni

Vita di Blasco, Giorgio Sermasi, Paolo Casciola. Odeonlibri

Alfonso Leonetti. Storia di un’amicizia. Testi inediti, ricordi e corrispondenza con Roberto Massari (1973-1984)

Il vento contro, Stefano Tassinari. Marco Tropea Editore

Jean Burles: https://maitron.fr/spip.php?article18197

Jean Sosso: https://maitron.fr/spip.php?article131464

Documentario: https://www.youtube.com/watch?v=mopPLFZln0o


 

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26 ottobre 2023

Per una Palestina libera, laica e socialista

In un Medio Oriente socialista


 

Testo del Volantino che distribuiremo Sabato 28, a Roma, alla manifestazione.


Non c’è soluzione della questione palestinese senza la distruzione rivoluzionaria dello Stato sionista.

In queste ore si susseguono i bombardamenti sulla popolazione civile di Gaza. Non vengono risparmiati luoghi di culto, scuole ed ospedali, dove cercano un disperato rifugio soprattutto bambini e donne. Un massacro. Ma forse l’aspetto ancora più disumano è l’assedio totale, di stampo medievale, dichiarato dal governo israeliano ad un territorio in cui vivono oltre due milioni di persone. Centinaia di migliaia sono i cittadini costretti a scappare di casa per non fare più ritorno. È una nuova catastrofe per il popolo palestinese, una nuova Nakba, paragonabile a quella del 1948.

Innanzitutto, è necessario fermare questo genocidio. Il popolo palestinese sia a Gaza che in Cisgiordania sta resistendo. Lo sta facendo da anni, sia con le mobilitazioni di piazza che con le armi. Il Partito Comunista dei Lavoratori, sezione italiana della Opposizione Trotskista Internazionale (OTI), è incondizionatamente al fianco di questa resistenza, seguendo la tradizione sempre propria del trotskismo, che nel 1948 fu l’unica corrente del movimento operaio internazionale che si pronunciò contro la nascita dello Stato di Israele, mentre tutte le altre, in particolare gli stalinisti, sostennero apertamente lo Stato coloniale sionista contro il popolo arabo.

Lo Stato d’Israele si fa forte del sostegno delle potenze “democratiche” d’Occidente. Un sostegno politico, economico, militare. Lo stesso sostegno che già viene offerto alla prossima annunciata invasione di terra. Lo stesso sostegno di cui Israele ha goduto nei 75 anni di occupazione della Palestina.

“Lo Stato d’Israele non si tocca”. Questa è la sintesi della diplomazia mondiale, ma anche della pubblica informazione. Noi abbiamo denunciato da sempre la natura reazionaria di Hamas e le sue azioni contro i civili. Ma un conto è criticare Hamas dentro il campo della resistenza palestinese, un altro è usare cinicamente l’azione di Hamas per coprire i crimini del sionismo contro i palestinesi e la loro resistenza. L’assimilazione di antisionismo e antisemitismo è assunta come clava nel dibattito pubblico, come forma di intimidazione verso il sostegno alla Palestina, come scudo protettivo dei crimini d’Israele.

“Due popoli, due Stati” dicono i benpensanti, ma dove dovrebbe situarsi uno Stato palestinese a fianco dell’intoccabile Israele? Basta porre questa domanda elementare per diradare la nuvola di fumo. Oggi la Cisgiordania è occupata da settecentomila coloni israeliani armati che, impuniti e protetti dalle truppe, organizzano spedizioni squadristiche contro i contadini palestinesi. Gaza è sotto un assedio genocida. Dunque, chiediamo ancora: dove dovrebbe situarsi un fantomatico Stato palestinese rispettoso dello Stato d’Israele? In quale sgabuzzino dovrebbe rassegnarsi a vivere?

Solo una Palestina libera dal sionismo, una Palestina laica, una Palestina socialista, può realizzare l’autodeterminazione del popolo palestinese, a cominciare dal diritto al ritorno di milioni di palestinesi cacciati dalla propria terra fin dal 1948. Solo questa Palestina, riconoscendo i diritti nazionali della minoranza ebraica, può consentire la pacifica convivenza di arabi ed ebrei.

Le grandi mobilitazioni delle masse arabe in questi giorni, in Algeria, in Egitto, in Tunisia, e soprattutto in Giordania e in Iraq, ci dicono che la grande maggioranza della popolazione araba supporta la lotta palestinese come una propria ragione di liberazione e di riscatto. Sviluppare ed estendere la ribellione araba a fianco del popolo palestinese, guadagnarla ad una prospettiva antimperialista e antisionista, è il compito dei marxisti rivoluzionari palestinesi e arabi. Estendere al massimo la mobilitazione al fianco del popolo palestinese a livello mondiale è il compito urgente dei marxisti rivoluzionari di tutto il mondo.

• Per la fine dell’assedio e del massacro di Gaza
• Al fianco della resistenza palestinese
• Per la liberazione della Palestina e la distruzione rivoluzionaria dello Stato di Israele
• Per una Palestina libera, laica e socialista nell’ambito di una Federazione socialista del Medio Oriente

 
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23 ottobre 2023

L'assedio di Gaza è lo specchio del sionismo

Non c'è soluzione della questione palestinese senza chiamare in causa lo Stato d'Israele




A Gaza siamo in presenza di un assedio disumano a due milioni di palestinesi, un crimine di massa silenzioso che si aggiunge alle vittime dei bombardamenti su case, scuole, chiese e ospedali. Tale è la privazione di acqua, cibo, medicinali, elettricità, benzina, quella che moltiplica i morti ogni giorno, ogni ora, nelle corsie d'ospedale, nelle case, sotto le tende, tutte già bombardate. Quella che persino l'Organizzazione Mondiale della Sanità si vede costretta a denunciare.

Ogni persona dotata di un minimo senso di umanità dovrebbe provare ribrezzo per questo cinismo criminale, esibito agli occhi del mondo con la più indifferente arroganza.

Il punto è che lo Stato d'Israele si fa forte del sostegno delle potenze “democratiche” d'Occidente. Un sostegno politico, economico, militare. Lo stesso sostegno che già viene offerto alla prossima annunciata invasione di terra. Lo stesso sostegno di cui Israele ha goduto nei 75 anni di occupazione della Palestina.

Lo Stato d'Israele non si tocca”. Questa è la sintesi della diplomazia mondiale, ma anche della pubblica informazione. Uno stuolo infinito di intellettuali e commentatori di estrazione liberale o addirittura “democratica” fanno a gara nel presentarsi ovunque come tutori dello Stato sionista. Tutti i sepolcri imbiancati che ogni giorno recitano il rosario sulle vittime israeliane del 7 ottobre tacciono sul crimine immensamente più grande che si sta consumando contro i civili palestinesi in queste ore sotto gli occhi dell'umanità intera. Noi abbiamo denunciato da sempre la natura reazionaria di Hamas e le sue azioni contro i civili. Ma un conto è criticare Hamas dentro il campo della resistenza palestinese, un altro è usare cinicamente l'azione di Hamas per coprire i crimini del sionismo contro i palestinesi e la loro resistenza. Crimini storici e crimini in corso. In ogni caso crimini incomparabilmente più numerosi, prolungati, efferati. O qualcuno vuol dire che incendiare villaggi, torturare prigionieri, deportare settecentomila palestinesi come nella Nakba del 1948, con uno strascico di orrori senza fine, sarebbe legittima difesa umanitaria?

La verità è che lo scempio di Gaza è un tragico fascio di luce sulla natura reale d'Israele. “Grande democrazia del Medio Oriente”? È uno Stato che non ha Costituzione, che non riconosce i propri confini orientali, che nega a due milioni di propri cittadini arabi l'uguaglianza elementare dei diritti nel nome dello Stato dei soli ebrei, che promuove e protegge la colonizzazione dei territori occupati col carico di distruzioni, umiliazioni, assassinii che la colonizzazione comporta ogni giorno... Sarebbe questa la democrazia?

Difendiamo Israele perché gli ebrei sono state vittima dell'Olocausto”. Ma perché l'infinito orrore dell'Olocausto nazista contro gli ebrei, il peggio della storia intera del Novecento, senza paragone alcuno, dovrebbe legittimare la pulizia etnica contro i palestinesi, la loro storica deportazione e oppressione? Semmai dovrebbe essere una ragione in più per rifiutare ogni oppressione e persecuzione. Perché nessun popolo può essere libero se ne opprime un altro. Eppure la più sconcia assimilazione di antisionismo e antisemitismo è assunta come clava nel dibattito pubblico, come forma di intimidazione verso il sostegno alla Palestina, come scudo protettivo dei crimini d'Israele.

Due popoli, due Stati” concedono al più i benpensanti. Curioso. Dopo essere stata osannata per mezzo secolo dalle sinistre riformiste di tutto il mondo, la formula “due popoli, due Stati” è oggi talmente vuota e ipocrita da essere assunta in prima persona da tutti i peggiori sostenitori della guerra d'Israele contro Gaza. Dall'immancabile imperialismo USA sino a Giorgia Meloni. Passando per quei regimi arabi che per mezzo secolo hanno scaricato i palestinesi quando non li hanno direttamente repressi e ammazzati (Settembre nero in Giordania, 1970). E per i nuovi imperialismi russo e cinese che cercano nuovi clienti tra questi stessi regimi sfruttando la crisi dell'egemonia americana.

Di grazia, dove dovrebbe situarsi uno Stato palestinese a fianco dell'intoccabile Israele? Basta porre questa domanda elementare per diradare la nuvola di fumo. La risposta sta nei famosi accordi di Oslo: accordi truffa che in cambio del riconoscimento dello Stato sionista relegavano i palestinesi in piccoli bantustan senza futuro, territori occupati e colonizzati dallo Stato sionista con la complicità crescente della stessa leadership palestinese.
Oggi peraltro la Cisgiordania è occupata da settecentomila coloni israeliani, armati dalla testa ai piedi, che scorrazzano impuniti e protetti dalle truppe, e Gaza è sotto un assedio genocida. Dunque chiediamo nuovamente: dove dovrebbe situarsi un fantomatico Stato palestinese rispettoso dello Stato d'Israele? I sei milioni di palestinesi dei campi profughi, i quattro milioni di palestinesi di Cisgiordania, i due milioni di palestinesi di Gaza, i due milioni di arabi israeliani, una netta maggioranza della popolazione di Palestina (e ancor più, in proiezione demografica) in quale sgabuzzino dovrebbe rassegnarsi a vivere?

La verità è che ogni soluzione della questione palestinese passa per il diritto al ritorno. E ogni diritto al ritorno mette in discussione l'esistenza dell'attuale Stato d'Israele. Non degli ebrei naturalmente, ma dello Stato sionista. Di uno Stato coloniale nato dall'espulsione di un altro popolo.
Solo una Palestina libera dal sionismo, una Palestina laica, una Palestina socialista, può realizzare l'autodeterminazione del popolo palestinese, riconoscendo i diritti nazionali della minoranza ebraica. Solo una simile soluzione consentirebbe la pacifica convivenza di arabi ed ebrei.

Ma questo significherebbe cancellare l'attuale geografia del Medio Oriente” protestano in nome del realismo non pochi progressisti. Sì, significherebbe esattamente questo. Significherebbe cancellare quello che le potenze imperialiste e lo Stato sionista hanno disegnato con riga e compasso in terra araba, con tanto di guerre d'invasione e di massacri. Significherebbe mettere in discussione gli stessi corrotti regimi arabi. Significherebbe saldare la rivoluzione palestinese con una rivoluzione nazionale araba, in direzione di una federazione socialista araba e del Medio Oriente.

Le grandi mobilitazioni delle masse arabe in questi giorni, in Algeria, in Egitto, in Tunisia, e soprattutto in Giordania e in Iraq, ci dicono che la grande maggioranza della popolazione araba, al di là degli attuali confini, vive la questione palestinese come una propria ragione di liberazione e di riscatto. Non a caso proprio il timore di una grande rivolta araba agita le cancellerie di tutto il mondo, e tutte le borghesie del Medio Oriente.

Sviluppare ed estendere la ribellione araba a fianco del popolo palestinese, guadagnarla ad una prospettiva antimperialista e antisionista, è il compito dei marxisti rivoluzionari palestinesi e arabi. In alternativa ad ogni fondamentalismo panislamista, ad ogni conciliazione col sionismo, a ogni forma di subordinazione agli imperialismi, vecchi e nuovi che siano.

Marco Ferrando
 
 

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22 ottobre 2023

Marco Ferrando sulla questione palestinese

Fare il punto sul conflitto israelo-palestinese, la sua natura e le sue contraddizioni, è essenziale per sgomberare il campo da ogni ipocrisia, da ogni forma di campismo o di neutro (sterile) pacifismo. 

Ne abbiamo parlato con Marco Ferrando, portavoce nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori

👇 Guarda l'intervista su Youtube 👇


 





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18 ottobre 2023

Dalla parte dei palestinesi, contro lo stato d'Israele

In piena autonomia dalla destra religiosa di Hamas, ma sempre dalla parte di un popolo oppresso contro le forze d'occupazione

 

L'attacco militare di Hamas  solleva in queste ore l'onda della solidarietà con Israele da parte di tutta la diplomazia imperialista, ad ogni angolo del pianeta.

Tonnellate di ipocrisia rivoltante. Che ignora l'oppressione della Palestina. Che confonde oppressori ed oppressi. Che rimuove le responsabilità decisive dell'imperialismo nel sostegno al terrore sionista.

Da marxisti rivoluzionari abbiamo sempre denunciato la natura politica di Hamas, la “Fratellanza musulmana” cui appartiene, il regime con cui governa Gaza, le sue pratiche d'azione contro civili, il sostegno che fornisce alla dittatura dei mullah in Iran o al regime di Erdogan in Turchia. Ma un conto è la battaglia politica contro la destra religiosa dentro il campo della resistenza palestinese al sionismo. Un altro è il sostegno allo Stato sionista contro il popolo palestinese e il suo diritto alla resistenza.

Non abbiamo incertezze su quale campo scegliere. Come ovunque scegliamo la difesa incondizionata di un popolo oppresso, il suo diritto alla libera autodeterminazione, il suo diritto alla resistenza contro le forze d'occupazione, indipendentemente dalla natura politica delle sue direzioni.

Lo Stato d'Israele è nato dall'espulsione del popolo palestinese dalla propria terra attraverso i metodi del terrore. Tutta la storia dell'occupazione sionista della Palestina si regge sulla pratica del terrore. Terrore praticato dalle forze militari di occupazione e dai coloni. Terrore in Cisgiordania dove si sono insediati ormai ben 700000 coloni. Terrore nei confronti della popolazione di Gaza, contro cui Israele negli ultimi 18 anni ha già condotto sei guerre con diverse migliaia di palestinesi assassinati.

Proprio l'attuale governo di estrema destra di Netanyau ha esteso e moltiplicato i metodi terroristici contro i palestinesi e i loro diritti. Basti pensare alle barbare operazioni condotte recentemente dalle truppe sioniste nei campi profughi di Jenin.

Parlare, tanto più oggi, del “diritto di Israele alla propria difesa” è semplicemente la spudorata difesa del terrorismo quotidiano del sionismo.

A chi invoca la “pace in Medio Oriente” diciamo che non vi sarà mai alcuna pace possibile tra uno Stato che opprime e un popolo oppresso. Che tutti i cosiddetti “accordi di pace” con Israele, come i famosi accordi di Oslo del 93 ( benedetti dalle sinistre riformiste di tutto il mondo), si sono rivelati un inganno per i palestinesi. Che solo la distruzione rivoluzionaria dello Stato d'Israele, dei suoi fondamenti giuridici, confessionali, militari, potrà liberare la Palestina, consentendo ai palestinesi il diritto al ritorno nella propria terra. Che solo la piena e libera autodeterminazione del popolo palestinese potrà permettere una pacifica convivenza con la minoranza ebraica. Che solo riconducendo la resistenza palestinese ad una prospettiva socialista, in Palestina e in tutto il Medio oriente. sarà possibile realizzare questa soluzione storica. L'unica soluzione reale della questione palestinese.

 


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16 ottobre 2023

A 100 anni dalla nascita dell'Opposizione di Sinistra

L'"Opposizione di sinistra" nasce nell’ottobre del 1923 con la cosiddetta Dichiarazione dei 46.

La prima guerra mondiale ha lasciato il mondo sul lastrico, con le socialdemocrazie responsabili di tutto ciò, dato che hanno votato i crediti di guerra.  

In Russia, un paese arretrato e dissanguato dal conflitto, è scoppiata una Rivoluzione (1917) che ha portato al potere la classe operaia. Si è rifondata una nuova Internazionale Comunista, la III (1919) ma nella Russia sovietica la reazione dei cosiddetti “bianchi” (con l’appoggio degli stati imperialisti) ha avvitato il paese in una sanguinosa guerra civile. 

Passati all'incirca 3 anni, con la fine della guerra civile e del comunismo di guerra l’economia ha iniziato una lenta ripresa. 

Ma l’apparire sulla scena di uno strato di privilegiati dentro l’apparato statale russo, mina dall’interno i successi della rivoluzione. Il successivo fallimento dei tentativi rivoluzionari in Europa e il conseguente isolamento della Russia faranno il resto.

È in questo contesto che nasce l’Opposizione di Sinistra, che è opposizione alla burocrazia sovietica e alla sua espressione politica - lo  stalinismo, negazione del bolscevismo.

Ne abbiamo discusso insieme al compagno Eugenio Gemmo, della redazione di Marxismo Rivoluzionario.

👇 Guarda la breve intervista 👇


 

 

 

 

 

 

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13 ottobre 2023

"Inferno a Rosarno", un libro di Marco Gabbas

Dal 23 settembre è in prevendita sul sito dell’editore Calibano  Inferno a Rosarno, il racconto in prima persona di un bracciante africano che ha partecipato alle rivolte di Castel Volturno (2008) e di Rosarno (2010).

Guarda l'intervista a Marco Gabbas su Youtube

Acquista il libro sul sito dell'editore

 

    

 


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11 ottobre 2023

Il contributo di Trotsky allo studio dei problemi della Rivoluzione cinese

Questo articolo riproduce la parte conclusiva dell’ampio saggio introduttivo di Peng Shu-tse preposto al volume Leon Trotsky on China, a cura di Les Evans e Russell Block, apparso nel 1976 a New York presso le edizioni Monad Press, che qui ringraziamo per l’estratto:

 

… I fautori della politica disfattista nei confronti della guerra di resistenza non erano soltanto pochi trotskisti cinesi, ma rappresentavano una tendenza internazionale. In America, per esempio, Oehler ed Eiffel misero pubblicamente in discussione la posizione di Trotsky sulla guerra cino-giapponese. 

Per rispondere a questa sfida, Trotsky scrisse una lettera a Diego Rivera (23 settembre 1937) in cui denunciava dettagliatamente e correttamente le assurde proposte di Ochler e di Eiffel e in cui, nel contempo, esprimeva il proprio punto di vista sulla guerra cino-giapponese. Si può dire che questa lettera, che riassumeva la linea strategica proposta da Trotsky nei confronti della guerra cinese di resistenza, fu il suo contributo finale più importante allo studio dei problemi della rivoluzione cinese. Vale la pena di citarla ampiamente:

Nella mia dichiarazione alla stampa borghese, ho detto che il dovere di tutte le organizzazioni operaie in Cina era di partecipare attivamente e in prima linea all’attuale guerra contro il Giappone, senza abbandonare per un solo istante il proprio programma e la propria attività indipendente. «Ma questo è "socialpatriottismo"!», gridano i seguaci di Eiffel! «È una capitolazione a Chiang Kai-shek! È un abbandono dei principi della lotta di classe! Il  bolscevismo sostenne il disfattismo rivoluzionario nella guerra imperialista. Ora, la guerra di Spagna e la guerra cino-giapponese sono entrambe guerre imperialiste.» «…L’unica salvezza per gli operai e i contadini cinesi è di lottare contro l’esercito cinese così come contro l’esercito giapponese». Queste righe, tratte da un documento della frazione di Eiffel del 10 settembre 1937, ci bastano per dire che ci troviamo di fronte o a dei veri traditori o a dei completi imbecilli. Ma l’imbecillità, spinta a questo grado, equivale al tradimento.

Noi non abbiamo mai messo tutte le guerre sullo stesso piano. Marx e Engels appoggiarono la lotta rivoluzionaria degli irlandesi contro la Gran Bretagna, quella dei polacchi contro lo zar, anche se in queste due guerre nazionaliste i dirigenti erano, per la maggior parte, membri della borghesia e addirittura dell’aristocrazia feudale...

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

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05 ottobre 2023

7 Ottobre: Cgil a Roma, animalisti a Milano

 Il 7 Ottobre a Roma, la Cgil scenderà in piazza portandosi dietro una buona fetta di classe operaia.

A Milano, invece, dopo il barbaro sgombero del rifugio Cuori Liberi di Zinasco, piccola frazione del comune di Sairano in provincia di Pavia, scenderanno in piazza animalisti e antispecisti.

La Cgil scende in piazza per una piattaforma larga che va dal lavoro al fisco, dalle pensioni allo stato sociale (leggi il nostro volantino di approfondimento qui).

Gli animalisti scenderanno in piazza contro la soppressione di nove maiali sani per “preservare la peste” del Capitale. Dopo averci regalato la malattia del Covid a livello mondiale, i macelli intensivi nel pavese hanno indotto la pesta suina. Oltre 33000 suini sono stati abbattuti. Ma non sono bastati al capitale a porsi delle domande sugli allevamenti intensivi e a muovere qualche coscienza in più.

Viviamo in un mondo in cui c’è un comune consenso riguardo al benessere degli animali domestici. Sono inseriti nella sfera famigliare, negli affetti e non vengono considerati oggetti dello sfruttamento sistematico e diffuso, del quale soffrono gli animali proprietà privata dei capitalisti. Un vero e proprio cortocircuito etico.

Molti animalisti credevano di aver ottenuto da poco il riconoscimento ufficiale dei rifugi o santuari per animali salvati, come realtà a sé stanti, non più come sottocategoria degli allevamenti. A Cuori Liberi la realtà ha offerto una drammatica smentita. Non c’è legge per rifugio che tenga davanti alla logica del profitto.

Nove maiali sani, senza nemmeno essere addormentati, sono stati abbattuti dalle forze del (loro) ordine per prevenire la paura di un’ulteriore diffusione del contagio. Sventrato il rifugio, pestati animalisti e antispecisti nel modo che tutti noi ben conosciamo.

A Cuori Liberi, durante lo sgombero, animalisti e antispecisti cantavano Bella Ciao e Tout Le Monde Déteste la Police. A Cuori Liberi gli animalisti hanno mostrato una volta per tutte che, al momento del dunque, anche l’antispecismo può e deve essere rivoluzionario.

Dopo l’eccidio e il pestaggio criminale, molti animalisti e antispecisti hanno lamentato la mancanza di una sola parola di solidarietà dal mondo della politica non istituzionale, quella che non fa da ancella al capitale anche quando fa ipocriti interpelli parlamentari. Ed hanno ragione. Gran parte della sinistra è in estremo ritardo.

Noi il 7 saremo a Roma perché apparteniamo in tutto e per tutto alla classe operaia. Siamo la sua avanguardia, ma non ci sarebbe affatto dispiaciuto una sola manifestazione nella capitale che unisse in un unico afflato le due proteste.

Siamo marxisti rivoluzionari e non sappiamo se sia possibile un incontro tra marxismo e animalismo antispecista, sappiamo però che non sarà mai possibile senza cominciare un confronto.

Sappiamo che a Cuori Liberi, animalisti e antispecisti si sono trovati davanti il nostro stesso nemico, il capitale, il nemico del mondo intero.

È certo che il mondo dovrà prima o poi liberarsi da questa pestilenza infernale che l’ammorba da oltre due secoli. Quel giorno non sappiamo se anche animali, animalisti e antispecisti saranno in festa.

Quel giorno però a pagarla sarà la logica del profitto e dello sfruttamento.

Fino a quel giorno, esprimiamo tutta la nostra più totale solidarietà a chi per i suoi nobili ideali, viene pestato per aver dissentito.

Buona manifestazione a tutti! Dovunque siate, a Roma o a Milano, fate che sia una piazza rivoluzionaria.

Eugenio Gemmo, Lorenzo Mortara
 
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In ricordo di Pietro Tresso. A 80 anni dalla sua morte

Sono ormai passati ottant’anni da quando “Blasco”, Pietro Tresso, uno dei dirigenti di primo piano del movimento operaio italiano ed inter...