Stamattina, a piazza Italia, si è tenuto il presidio organizzato da CGIL e UIL contro le politiche del governo. Noi compagni del Partito Comunista dei Lavoratori eravamo presenti per portare il nostro sostegno al mondo del lavoro e ribadire la nostra posizione.
Il testo del volantino distribuito:
DA UNO SCIOPERO RITUALE
A UN VERO SCIOPERO GENERALE!
PER LA DIFESA DEL DIRITTO DI SCIOPERO
«Sciopero, sciopero generale!» era questo il grido di battaglia di lavoratori e lavoratrici emerso nella grande piazza di Roma del 7 Ottobre, quando la Cgil ha radunato circa 200˙000 persone come propedeutica a un’eventuale mobilitazione, preceduta a sua volta da una specie di referendum interno tra gli iscritti per validare la linea scelta da Landini.
Oggi è lo stesso diritto di sciopero ad essere messo in discussione. Dagli scranni del governo il ministro Salvini ha tuonato ed il garante a disposto che lo sciopero generale del 17 non è autorizzato.
Questo attacco cambia la natura della mobilitazione: oggi bisogna scioperare e scendere in piazza per difendere il diritto di sciopero
Non è difficile immaginare che quei lavoratori, con sciopero generale, non avessero in mente esattamente la mobilitazione rituale a cui la burocrazia Cgil ci ha ormai abituato. Da un paio d’anni è all’insegna dell’unità con la UIL, stante l’impossibilità di unire la Cisl persino per simili rituali.
La Cgil arriva a questo appuntamento senza un bilancio dell’analoga mobilitazione dell’anno scorso. Allora scioperammo il 12 Dicembre, dopo l’apertura di Landini al Governo Meloni “senza pregiudiziali”. Oggi la mobilitazione è anticipata di circa un mese. Come allora, la forza già non dirompente, per l’impostazione data dalle burocrazie sindacali, viene diluita ulteriormente dividendo lavoratrici e lavoratori: il 17 infatti sciopereranno le regioni del Centro, oltre a tutto il comparto del pubblico, dei trasporti e della conoscenza; il 20 sciopererà la Sicilia, il 24 il Nord, il 27 la Sardegna, infine il 1° Dicembre tutto il Sud chiuderà la mobilitazione.
Davvero poco per impensierire il Governo Meloni che infatti fa strame di salari e diritti nella legge di stabilità: i 41 anni di lavoro per la pensione sbandierati da Salvini, vengono rimandati con quota che da “100” o “101”, è già diventata “103” con relativo taglio dell’assegno del 15%; opzione donna diventa opzione sempre più vecchia da 60 a 61 anni, così come l’ape sociale allungata di 5 mesi. È davvero poco anche per lo scopo recondito delle burocrazie sindacali: riconquistare tavolo e riconoscimento dalla controparte.
“Non ci sono soldi” è la cantilena di Governo e giornali borghesi. Intendono per i lavoratori, perché per banche e padroni ce ne sono sempre di più, a cominciare dai 100 miliardi meno rischiosi che la borghesia incassa: quelli sul debito pubblico che lei ha creato per sostenere i suoi numerosi crack, scaricandoli sulle tasche dei salariati.
Ci sono poi 12 miliardi, da qui al 2032 (780 milioni nel 2024), per il famoso “Ponte sullo Stretto” che Salvini, per propaganda, vanta come acquisito ma che acquisito non è visto che nella legge finanziaria non è ben precisato dove andranno questi soldi. Ma in fondo che importa alla borghesia? Purché siano 12 miliardi di ponti d’oro che finiscano sempre tutti nelle sue tasche.
Non poteva mancare l’aiuto alla sanità privata, beneficiata di altri due miliardi. Tagliati invece i fondi ai disabili dopo aver già manomesso e ridimensionato il reddito di cittadinanza per “amore” degli immigrati da mandare allo sbaraglio e gratis nei campi di raccolta di pomodori eccetera.
Lo sciopero, rispetto all’anno scorso, arriva in un momento di rallentamento del capitalismo italiano. Dopo il rimbalzo post-covid, l’economia italiana ed europea torna, a livelli diversi, in sostanziale stagnazione. In molte imprese lo sciopero potrebbe essere salutato come un alleggerimento di costi. E tuttavia fuori dall’Italia, abbiamo visto grandi mobilitazioni, dalla Francia agli Usa negli stabilimenti dell’auto. Solo la Cgil, tra le grandi burocrazie sindacali, non ha mutato di una virgola la sua strategia. Inoltre, l’anno scorso, lo scenario di guerra, era concentrato sull’aggressione della Russia all’Ucraina, oggi abbiamo anche la vergogna dell’invasione di Gaza, ultimo scampolo di territorio palestinese non ancora occupato dai sionisti di Israele: la borghesia si sa, è contro le invasioni a seconda della bisogna. Insomma, motivazioni per scioperi ben più radicali di questo, Landini ne aveva a bizzeffe. Ma ha preferito comunque di correre il rischio che passi come una meteora come quello dell’anno scorso, bruciando così quel po’ di capitale di fiducia accumulato il 7 Ottobre.
Per noi questo sciopero deve essere impugnato dalla base dei lavoratori e delle lavoratrici, scavalcando il muro di una burocrazia che dimostra per l’ennesima volta di essere difficilmente riformabile. La lotta attualmente disarticolata, deve essere unificata e spinta a un livello superiore, proseguendo fino a piegare il governo. Quel governo che non si limita ad attaccare salari e pensioni ma vuole togliere a milioni di salariati il diritto a scioperare. È già successo varie volte nella storia del movimento operaio. E se in Francia recentemente hanno scavalcato le burocrazie, può succedere anche qui. Ci vuole una piattaforma adeguata, non delle generiche rivendicazioni come quelle espresse nel volantino di Cgil-Uil.
Una simile piattaforma può essere varata solo da un’assemblea di delegati che prenda in mano la situazione sulla base di rivendicazioni radicali e precise, adatte a ribaltare la situazione di profondo arretramento della classe lavoratrice:
Riduzione immediata a 30-32 ore di
lavoro con aumento di
almeno 400 euro per tutti; 12 euro minimo all’ora; eliminazione
dell’indice ipca, una sorta di
indice truffa che tiene conto solo di quel che vogliono i padroni, per il
rinnovo dei contratti nazionali; unificazione dei contratti nazionali in
un unico contratto dell’Industria, un unico contratto del pubblico e uno dei
servizi; eliminazione di tutte leggi precarizzanti; eliminazione
delle leggi anti-sciopero; controllo operaio sulle condizioni di
lavoro e sulla sicurezza; apertura dei libri contabili, gli unici che
possano certificare davvero i profitti (certamente più alti di quelli già
stratosferici sbandierati, nonostante la recessione); patrimoniale del 10%
sul 10% più ricco per finanziare sanità, scuola e servizi al collasso; soppressione
delle spese militari imperialiste e dei debiti verso le banche per la nazionalizzazione
del credito.
Una simile piattaforma va rivolta
immediatamente al sindacalismo di base
e a tutto l’arcipelago delle forze antagoniste, per un fronte unico più largo
possibile, l’unico che possa opporre alla forza di governo e padroni, una forza
eguale e contraria in grado di piegarli. Per sostenere una simile prova
di forza, lunga e prolungata, vanno allestite, come una volta, casse di
resistenza adatte allo scopo.