25 aprile 2024

Il governo a guida postfascista è un insulto al 25 aprile

Testo del volantino del PCL per il 25 aprile



25 APRILE | AL FIANCO DELLA PALESTINA

CONTRO IL GOVERNO A GUIDA POST-FASCISTA

PER UN GOVERNO DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI

 

IL GOVERNO A GUIDA POST-FASCISTA È UN INSULTO AL 25 APRILE

Un governo a guida postfascista è di per sé un insulto al 25 aprile. Il suo progetto reazionario di premierato mira all’ulteriore concentrazione del potere nelle mani di chi già lo detiene. Il disegno della autonomia differenziata vuole una nuova spoliazione della popolazione povera del Meridione a vantaggio dei capitalisti del Nord e dei loro governatorati. La distruzione del reddito di cittadinanza, la liberalizzazione degli appalti, l’ulteriore dilagare della precarietà, accrescono la ricattabilità dei salariati e moltiplicano i morti sul lavoro. I nuovi tagli alla sanità pubblica servono agli interessi di quella privata e a pagare il debito pubblico alle banche. Mentre ovunque aumentano le spese in armamenti e il coinvolgimento italiano in scenari di guerra (Mar Rosso). Il sostegno allo Stato sionista nel momento delle sue politiche genocide contro Gaza e guerrafondaie contro l’Iran completa il quadro.

     

MELONI GOVERNA GRAZIE ALLE LEGGI ELETTORALI VOLUTE DAL PD

Eppure, il governo a guida postfascista si mantiene in sella e si consolida. Forse perché ha con sé la maggioranza della società italiana? Niente affatto. Il 25 settembre 2022 la destra prese il 44% dei votanti, non la maggioranza. Se col 44% dei voti dispone in Parlamento del 59% dei seggi lo dobbiamo ad una legge elettorale voluta e votata dal PD (il Rosatellum). Una legge antidemocratica e reazionaria. Come tutte le leggi elettorali maggioritarie varate nella Seconda Repubblica. Leggi volute per stabilizzare i governi capitalisti e le loro politiche di rapina.

 

LA DESTRA RACCOGLIE CIÒ CHE A SINISTRA SI È SEMINATO

E infatti, tutti i governi degli ultimi 30 anni hanno rapinato i lavoratori e le lavoratrici per conto dei capitalisti. I governi di centrosinistra hanno fatto da apripista. Fu il primo governo Prodi (col sostegno di Bertinotti) a introdurre il lavoro interinale, massicce privatizzazioni, i campi di detenzione per i migranti (Legge Turco-Napolitano), il respingimento in mare dei barconi (con centinaia di albanesi affondati nel Mar d’Otranto). Fu il governo D’Alema, sostenuto dal PdCI di Marco Rizzo, a parificare scuola pubblica e privata e a bombardare Belgrado. Fu il successivo governo Amato, anch’esso appoggiato da Rizzo, a introdurre la legge sulle autonomie regionali con la modifica dell’articolo quinto in Costituzione. Fu il secondo governo Prodi, con la partecipazione del PRC (ministro Paolo Ferrero), ad abbattere le tasse sui profitti di imprese e banche (IRES dal 34% al 27%) e ad accrescere le spese militari... Ogni volta il centrodestra di Berlusconi capitalizzò il disastro del centrosinistra e la compromissione in esso della sinistra. La destra ha sempre raccolto ciò che a sinistra si è seminato.

 

LA PACE SOCIALE REGALATA A MELONI

Così è stato nell’ultimo decennio, sullo sfondo della grande crisi. La crisi capitalistica del 2008-2011 minò il pendolo dell’alternanza tra centrodestra e centrosinistra, spianando la strada al governo di unità nazionale di Monti: quello che varò l’infame legge Fornero, col voto del PD e.… di Giorgia Meloni, e col lasciapassare della CGIL (tre ore di sciopero, il nulla). Con una sinistra già suicidatasi fra le braccia di Prodi, il malcontento sociale si indirizzò allora o verso la rassegnazione o verso il populismo reazionario. Prima con Renzi, poi con Grillo, poi con Salvini, infine con Meloni. Lungo una linea di successione a destra che ha condotto al governo a guida postfascista. La burocrazia sindacale ha svolto purtroppo in tutto questo un ruolo politico disastroso, alimentando con la sua passività un riflusso operaio profondo. La stessa Meloni si regge da due anni su una pace sociale senza paragoni in Europa.

 

IMPERIALISMO ITALIANO CON APPOGGIO BIPARTISAN

Non è tutto. Meloni può oggi contare sul sostegno bipartisan alla propria politica estera. L’aumento delle spese militari, la fedeltà alla NATO, la complicità con lo Stato sionista, il nuovo piano Mattei al servizio di ENI e dell’imperialismo italiano in Africa, godono dell’appoggio delle cosiddette “opposizioni” liberali. Persino la partecipazione italiana alla missione militare nel Mar Rosso, al fianco di Israele e contro gli Houthi, in un aperto scenario di guerra, ha avuto il voto parlamentare dei liberali (dal PD di Schlein al M5S di Conte).

Quanto al Patto di Stabilità europeo, col nuovo carico di sacrifici annunciati, è stato cucinato (anche) da Paolo Gentiloni, stella polare del PD nella UE. Meloni si appoggia su questa rete di connivenze trasversali. Con la benedizione istituzionale di Mattarella.

 

PER UNA VERA OPPOSIZIONE DAL VERSANTE DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI

Contrastare realmente il governo Meloni significa allora costruire ciò che manca: una opposizione sociale e politica vera, dal versante delle lavoratrici e dei lavoratori. Una opposizione autonoma dai liberal-borghesi. Una opposizione che riconduca le stesse battaglie democratiche ad una ragione di classe e ad una prospettiva anticapitalista.

Opporsi davvero al governo a guida postfascista significa allora:

• aprire una vertenza generale contro governo e padronato attorno ad una piattaforma di lotta in cui milioni di lavoratori e lavoratrici possano riconoscersi (al di là del giusto sostegno ai referendum CGIL)

 

• rompere con la governabilità borghese a partire dalla battaglia per una legge elettorale pienamente proporzionale contro ogni logica maggioritaria (al di là della giusta opposizione a premierato e autonomia differenziata)

 

• battersi a sostegno della resistenza dei popoli oppressi contro tutti gli imperialismi, e contro tutte le loro guerre, e dunque innanzitutto a sostegno della resistenza palestinese contro il colonialismo sionista (fuori da ogni logica di equidistanza pacifista)

 

• battersi contro la propria borghesia, per una alternativa di società e di potere. Per un governo delle lavoratrici e dei lavoratori che riorganizzi la società su basi nuove. Per una prospettiva di rivoluzione

 

PER UNA SINISTRA CHE NON TRADISCA: LE LEZIONI DELLA RESISTENZA

Una prospettiva di rivoluzione richiede un partito che si fondi su questo programma. Che sviluppi in questa direzione la coscienza politica degli sfruttati. Che non tradisca le loro lotte. Senza questo partito le migliori ragioni ed energie delle masse oppresse finiscono ogni volta in un vicolo cieco.


È questa la grande lezione della resistenza partigiana. Una resistenza tradita. Centinaia di migliaia di partigiani, col sostegno di milioni di lavoratori, avevano combattuto per liquidare assieme al fascismo la borghesia che l’aveva appoggiato. Era la domanda di una “rossa primavera”. Ma il PCI di Togliatti, su mandato di Stalin e degli accordi di Yalta, sacrificò la domanda di rivoluzione all’unità nazionale con la borghesia e la DC. Riportò in sella i capitalisti, liberalizzò i licenziamenti, amnistiò i fascisti, salvò i Patti Lateranensi tra la Chiesa e il fascismo. Col risultato di spianare la strada alla reazione antioperaia e anticomunista degli anni ‘50. La riedizione del compromesso storico da parte di Berlinguer negli anni ‘70 contro la domanda di svolta dell’autunno caldo non ebbe esito migliore.

 

Costruire il partito della rivoluzione significa allora costruire la sinistra che non tradisce: il partito che è mancato alle lotte migliori del movimento operaio, e che tanto più manca oggi, quando lo scioglimento del PCI e poi il suicidio di Rifondazione hanno privato il movimento operaio italiano di ogni rappresentanza politica indipendente, per quanto distorta.

 

L’esigenza di un partito indipendente della classe lavoratrice basato su un programma anticapitalista è riproposta giorno dopo giorno dall’esperienza dei fatti. È l’unico partito di cui gli sfruttati hanno bisogno.

 

Il PCL si batte controcorrente per la costruzione di questo partito. Unisciti a noi!

 

 

07 aprile 2024

Quando Stalin non vinse il congresso

Il XX Congresso del Partito Comunista (1956) segnò l’inizio della denuncia (formale) dei crimini di Stalin da parte degli stessi complici stalinisti e diede il via, in modo strumentale, ai lavori per la riabilitazione delle vittime della politica repressiva di Stalin. IL tentativo di destalinizzazione, sempre subordinato alle logiche di apparato, comunque portò con se l’emergere di alcuni aspetti della vita interna Partito e i relativi aspetti burocratici come il materiale del 17° Congresso PCUS, il materiale del conteggio delle schede.


Circa 90 anni fa, il 10 febbraio 1934, si concludeva a Mosca il XVII Congresso del Partito Comunista, Stalin aveva oramai da tempo il partito in pugno e non a caso il congresso venne definito in un primo momento il “congresso dei vincitori- definizione che tenne per poco tempo sui libri di storia -, e dopo l’avvio del terrore staliniano (metà anni 30), fu ribattezzato il “congresso dei giustiziati”. 

 

Possibile che la volontà di destituire Stalin al XVII Congresso del Partito da parte di un gran numero di delegati abbia un collegamento con la morte, nel dicembre 1934, di Sergei Kirov (possibile sostituto di Stalin alla Segreteria)? Che questi episodi abbiano una connessione con il Grande Terrore del 1937-1938? Sicuramente Stalin utilizzò questi eventi per reprimere l’URSS in una morsa violenta e rafforzare così il dominio della casta burocratica.

Nel novembre 1960, in epoca Kruscioviana, furono desecretati i documenti relativi a 26 anni prima - i documenti di quel XVII Congresso (dei vincitori o giustiziati, come abbiamo visto) - e si scoprì che delle 1.225 (secondo una delle valutazioni) schede relative alle elezioni del Comitato Centrale (secondo il numero dei delegati votanti approvato dalla Commissione delle Credenziali), ve n’erano solo 1.059 disponibili, cioè ve ne erano 166 in meno.

Una testimonianza fornita dal delegato al congresso V.M. Verkhovykh, addetto proprio al conteggio delle schede: “Come risultato della votazione... Stalin, Molotov, Kaganovich hanno avuto il maggior numero di voti contrari, ciascuno ha avuto più di 100 voti contrari, ora non ricordo esattamente... ma sembra Stalin 125 o 123.

A.V. Antonov - Ovseenko (1) nel suo libro “Ritratto del tiranno” aveva segnalato circa 292 voti avversi a Stalin prima che l’apparato dirigente stalinista diede l’ordine di far sparire, probabilmente bruciare, le schede “sbagliate”.

Della medesima opinione era la bolscevica Shatunovskaya: Stalin aveva ricevuto circa 300 voti contrari. (2)

Al di là dei voti, non importa quanti abbiano votato contro Stalin – 292 o 169 –, sono tanti in ogni caso e se a questo si somma la volontà di alcuni militanti storici presenti al XVII Congresso di rimuovere di Stalin, progettando e discutendo la sostituzione alla guida del Partito, il gioco è fatto. Stalin aveva sconfitto le opposizioni ora per gestire al meglio il potere era “sufficiente” alimentare la sua paranoia, sopprimendo anche i suoi collaboratori, dei delegati al XVII congresso. I numeri sono impietosi: su 1.966 presenti al congresso, 1.103 furono arrestati con l’accusa di crimini controrivoluzionari, e di quest’ultimi 848 furono uccisi.

E questo, del resto, non è stato il solo caso di congressi con voti assenti.

Ad esempio, al precedente Congresso - il XVI - del 1930, quando furono aperte le urne, mancavano 136 schede, e lo stesso accadde al successivo - il XVIII - nel 1939; nonostante la sanguinosa epurazione appena avvenuta, aumentò notevolmente il sistema di controllo: mancavano ancora 44 schede.

Difficile dire con certezza come andarono le cose. Le successive commissioni di verifica, promosse sia da Krusciov che da Gorbaciov, hanno dato risultati non similari anche se tutte hanno evidenziato “irregolarità” nella gestione delle votazioni. Chiaramente, nonostante il clima festoso e di lode a Stalin, la repressione della stragrande maggioranza dei delegati ne vidima la manomissione.

E. G.


 

Note

1. Stalin. Porträt einer Tyrannei.  Anton Antonow-Owssejenko Editore: Générique (1969)

2. Olga Shatunovskaya fu membro del Partito Comunista sin dall’età di 16 anni, in pieno periodo rivoluzionario, fu anche una stretta collaboratrice di Anastas Mikoyan, lavorò nell’organizzazione di Baku del partito dal 1918 e prestò servizio come segretaria di Stepan Shaumian.  Fu arrestata nel 1937 e vittima della repressione stalinista. Dopo la morte di Stalin nel 1953, divenne membro del Comitato di controllo del partito sovietico e capo di una commissione speciale sulla riabilitazione durante il “disgelo di Krusciov”, si occupò anche dell’omicidio Kirov. Shatunovskaya è stata onorata con le più alte medaglie sovietiche.

3. Gli uomini di Stalin.  Montefiore 

 

 

 

Partito Comunista dei Lavoratori

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