29 luglio 2023

Tresso: "Marxismo e questione nazionale" (1935)

1. Un esame approfondito della questione nazionale dovrà tener conto, prima di tutto, del processo attraverso il quale si è arrivati alla formazione delle “nazioni” contemporanee. Questo processo non è che un aspetto più generale dello sviluppo del capitalismo. È il capitalismo che ha creato le “nazioni”. Prima del capitalismo, c’erano dei gruppi etnici più o meno omogenei, più o meno differenti, ma la nazione non esiste. In Italia, ad esempio, i Lombardi, i Veneti, ecc. Questi gruppi etnici avevano, tra di loro, delle similitudini nella lingua, delle tradizioni e una posizione geografica che li avevano più o meno avvicinati, attraverso i secoli, per mezzo di eventi storici comuni. Tuttavia, essi non erano ancora una “nazione”. La nazione non esisteva ancora nel 1870, al momento della fine del potere temporale dei papi. L’anno 1870 rappresenta una tappa importante nella formazione della nazione italiana, poiché essa segna l’unificazione di tutto il territorio della penisola in una sola entità amministrativa e politica. Nondimeno manca ancora quella unità effettiva creata dall’installazione e dalla dominazione del capitalismo, il quale sottomette la “nazione” tutt’intera alla medesima legge di sviluppo, che, come si è detto più in alto, è la legge dello sviluppo del capitalismo.
Ciò che è stato detto per l’Italia potrebbe essere ripetuto, aldilà, dei dati particolari, per la Francia, la Germania, ecc.
 
 
2. Tuttavia il capitalismo non è solamente la forza che crea le nazioni, è anche quello che, a un certo stadio del suo sviluppo, le sottomette e le opprime. Il Trattato di Versailles ne è la prova più mostruosa. La guerra del 1914-1918 ha “liberato” certi popoli dal centralismo burocratico e militare semi-feudale a cui erano sottomessi. Lo smantellamento dell’impero austro-ungarico, la creazione di una Polonia “indipendente”, ne sono un esempio. Ma nello stesso tempo, esso ha sottomesso altri popoli o delle frazioni di questi agli stati vincitori e, talvolta, a quegli stessi stati che erano sorti in nome dell’indipendenza nazionale. La Polonia, per esempio, che era una “nazione oppressa” sotto l’impero zarista è divenuta a sua volta uno stato che opprime minoranze nazionali. Lo stesso si può dire della Cecoslovacchia. Nello stesso tempo, le “nazioni” liberate dall’antico centralismo burocratico-militare sono state sottomesse, in realtà, a una schiavitù mille volte più dura e pericolosa, la schiavitù dell’imperialismo moderno. Per esempio, i differenti popoli che costituivano l’antico impero austro-ungarico sono stati “liberati”, ma la loro “liberazione” ha significato nello stesso tempo lo smembramento dell’antica confederazione danubiana, la fine di quella unità economica che era nata e si era sviluppata sulla base di questa confederazione, e la sottomissione effettiva di ciascuno di questi stati, oggi “liberi”, ai banchieri di Parigi, Londra e New York. Altri popoli, al contrario, non fecero altro che passare da un padrone all’altro. Per esempio, i croati e gli sloveni che, ieri, “gemevano” sotto il giogo della monarchia austro-ungarica, maledicono oggi la dominazione della monarchia serba o quella, assai crudele, del fascismo italiano.
Questi fatti rivelano chiaramente che il capitalismo, da forza creatrice di nazioni, è divenuto una forza che le beffeggia, le opprime e le distrugge. Oggi è chiaro che il destino delle nazioni, in ciò che esse rappresentano di progressivo per l’umanità, è strettamente legato alle sorti del proletariato.
 
 
3. Se dall’Europa passiamo all’Asia o all’Africa, questa verità ci appare ancora più evidente. Tutta la lotta del capitalismo delle metropoli consiste, in fondo, a mantenere i paesi coloniali nella condizione di fornitori di materie prime e di compratori di prodotti manifatturieri. Si vuole così impedire che questi paesi costruiscano una industria nazionale moderna perché, in questo caso, non solamente essi cesserebbero d’essere delle colonie, ma diventerebbero - come dimostra il Giappone - per queste metropoli, dei concorrenti molto pericolosi sul mercato mondiale. Ma impedire a questi paesi di creare la loro propria industria moderna, significa precisamente rendere loro possibile l’accesso a una via nazionale, cioè a divenire delle nazioni.
 
 
4. Il Trattato di Versailles, il trionfo della rivoluzione russa, lo sviluppo dei movimenti rivoluzionari negli altri paesi e le difficoltà particolari del movimento rivoluzionario del proletariato nelle regioni dove esistono delle minoranze nazionali, hanno reso il problema di queste minoranze infinitamente più importante di prima della guerra. La classe operaia, sia che si fondi sull’analisi dell’imperialismo, sia sotto l’obbligo necessario della sua azione politica quotidiana, ha compreso che il problema delle minoranze nazionali non solamente non le è estraneo, ma al contrario non può essere risolto che dalla direzione della società attuale e dall’instaurazione del potere proletario. Inoltre il proletariato è, non solamente, l’alfiere di suoi propri interessi di classe, ma anche dello sviluppo delle “nazioni”. Il proletariato - precisamente perché tende a risolvere ogni problema partendo dal fatto dell’esistenza delle classi - rigetta ogni oppressione nazionale ed è la sola classe che, concretamente, agisce per la liberazione delle nazioni e delle minoranze nazionali dalla schiavitù nella quale esse si trovano attualmente, e dall’asservimento all’imperialismo e agli stati che ne sono lo strumento.
 
 
5. Il proletariato è la sola classe che non solamente può scrivere sulla sua bandiera: diritto di autodecisione dei popoli, ma che può agire di conseguenza. Ma affermare che i popoli hanno diritto a disporre di sé stessi significa, nei paesi dove esistono delle minoranze nazionali, che queste minoranze hanno esse stesse lo stesso diritto, cioè che esse hanno il diritto di decidere se vogliono far parte dello stato al quale sono attualmente legate, o far parte di un altro stato, o essere autonomi. Il proletariato si oppone a qualunque forma di oppressione nazionale quale questa sia e di conseguenza è per la libertà nazionale, la più illimitata. E ciò perché il proletariato è una classe i cui interessi si esprimono non sul piano nazionale ma sul piano internazionale. Il proletariato non combatte i suoi nemici in quanto tedeschi, francesi, giapponesi o altri, ma li combatte in quanto borghesi, grandi proprietari fondiari o sfruttatori d altro tipo. Per il proletariato italiano, per esempio, il borghese, che sia italiano, francese o altro, è un nemico. E più esattamente, il nemico di cui deve sbarazzarsi in primo luogo è il borghese italiano. Al contrario, il proletariato, che sia francese o tedesco, è fratello del proletariato italiano, precisamente perché i suoi interessi di classe sono quelli degli altri paesi.
 
 
6. Lo stato italiano (prima nella forma democratica, oggi quello di forma fascista) opprime tre minoranze nazionali. La minoranza slovena, la minoranza croata e la minoranza tedesca. Esso “protegge” l’Albania e “civilizza”, con i metodi del generale Badoglio, la Libia, l’Eritrea, la Somalia italiana ed è sul punto di lanciarsi contro l’Abissinia.
Lasciamo da parte per un momento le colonie e abbordiamo il problema delle minoranze croata, slovena e tedesca. Queste minoranze sono state sottomesse allo stato italiano dalla forza delle armi imperialiste, giuridicamente legittimate dai trattati di Saint-Germain e di Versailles. Noi siamo contro questo trattato di briganti, dunque siamo contro l’incorporazione forzata delle minoranze croato-slovena e tedesca allo stato italiano. Dunque noi riconosciamo a queste minoranze il diritto di scegliere esse stesse dove e con chi esse vogliono far la loro strada. Inoltre, è chiaro che il fascismo conduce contro queste minoranze una lotta nazionalista ben reale. Il fascismo ha italianizzato le strade dei loro paesi. Ha imposto nomi italiani ai loro bambini. Ha imposto dei maestri di scuola italiani. Nelle chiese, le prediche devono essere fatte in italiano (la popolazione non ne capisce neanche una parola). Nei tribunali come nei municipi, tutti gli atti pubblici devono essere redatti in italiano, e tutti gli avocati sono obbligati a patrocinare in italiano. Ciò vuol dire che un contadino slavo o tedesco che vuole difendere i suoi interessi in tribunale deve servirsi di avvocati che in tribunale parlano una lingua che è loro sconosciuta. Ma dovrà fare la sua deposizione pure in italiano, una lingua completamente sconosciuta. L’oppressione nazionale non potrebbe essere più manifesta. È così evidente che la lotta nazionale dei croato-sloveni e dei tedeschi è progressista nella misura in cui essa diventa un ostacolo alle mire dell’imperialismo italiano. Non c’ dunque alcun dubbio che il proletariato ed il suo partito, in questa lotta, devono essere dalla parte delle minoranze nazionali contro lo at imperialista italiano, che sia fascista o democratico. Non agire, anzi, significa rendersi complici dell’imperialismo italiano, significa rafforzare il suo potere, significa tradire non solamente i diritti delle minoranze nazionali ma, prima e soprattutto, gli interessi del proletariato e gli interessi della rivoluzione. Il proletariato deve appoggiare tutte le rivendicazioni di liberazione nazionale delle minoranze nazionali oppresse dallo stato italiano, compreso il loro diritto a separarsi dallo stato italiano e a camminare insieme con chi vogliono.
 
 
7. Riconoscere questo diritto non implica tuttavia che il proletariato deve consigliare a queste minoranze, sempre e dappertutto, di separarsi dallo stato italiano. Al contrario, l’opposto può rivelarsi giusto. Per esempio, noi riconosciamo ai credenti il diritto di pregare il loro dio e anche quello di andare in chiesa (a patto che paghino i loro preti), ma ciò non significa che noi gli consigliamo di pregare, ne di andare in chiesa. Al contrario, noi facciamo tutto per persuaderli a non fare né l’uno né l’altro. Lo stesso vale per ciò che riguarda la separazione delle minoranze nazionali dello stato italiano. La sola guida che deve servirci in questo caso è l’interesse della rivoluzione. Se questo interesse è favorito dalla separazione delle minoranze nazionali dallo stato italiano, allora noi glielo consiglieremo e noi li aiuteremo in questa loro lotta per la realizzazione di un diritto riconosciuto; se, al contrario, gli interessi della rivoluzione italiana saranno ostacolati da questa separazione, consiglieremo alle minoranze nazionali di non separarsi dallo stato italiano. Tuttavia spetta solo a loro decidere.
 
 
8. Le minoranze nazionali non si definiscono semplicemente come tali, esse costituiscono un certo insieme di classi.
In altri termini, tra le minoranze nazionali esistono le differenze di classe. Talvolta, la differenziazione delle classi coincide, o quasi, con la differenziazione nazionale. Fra gli Sloveni dell’Istria, per esempio, la massa dei contadini poveri è slovena, mentre i proprietari terrieri sono italiani. Noi dobbiamo sostenere le masse lavoratrici (operai e contadini poveri) per sviluppare la loro azione di classe contro i loro sfruttatori ( siano italiani,sloveni, croati o tedeschi) e con lo stato borghese al quale sono assoggettati, cioè lo stato italiano. Noi non sacrifichiamo le loro rivendicazioni nazionali ai loro interessi di classe ma, difendendo i loro interessi di classe, noi siamo i soli a difendere realmente, egualmente le loro rivendicazioni nazionali. Ci sono due possibilità per le quali le minoranze, attualmente facenti parte dello stato italiano, ottengano la loro liberazione nazionale. La prima sarebbe una nuova guerra imperialista in cui lo stato italiano fosse sconfitto dallo stato iugoslavo o tedesco. Tuttavia questa possibilità costituirebbe una disfatta di tutto il proletariato e per le masse lavoratrici e creerebbe, senza alcun dubbio, una situazione contraria, cioè al posto delle minoranze nazionali all’interno dello stato italiano, avremo delle minoranze nazionali italiane all’interno dello stato vincitore. Questa soluzione è quella a cui mirano gli imperialisti stranieri e i movimenti nazionalisti piccolo borghesi esistenti, al meno potenzialmente, in seno alle minoranze nazionali slovena, croata e tedesca. Inoltre questa “soluzione” lascerebbe intatta l’oppressione di classe contro queste stesse minoranze nazionali “liberate”. L’altra soluzione, la sola, la vera soluzione, è la vittoria del proletariato italiano sulla propria borghesia. Questa soluzione apporterebbe, d’un colpo, la liberazione di classe alle masse popolari delle minoranze nazionali e il soddisfacimento di tutte le loro rivendicazioni nazionali. È la sola soluzione che noi dobbiamo indicare alle minoranze nazionali assoggettate allo stato italiano. È l’unica soluzione alla quale dobbiamo lavorare. Ma in che modo? “Smascherando implacabilmente l’oppressione borghese della nazione dominante e conquistando la fiducia del proletariato ( e delle masse lavoratrici povere – Blasco) della nazionalità oppressa” (Trotskij).
“Ogni altra via equivarrebbe a sostenere il nazionalismo reazionario della borghesia imperialista della nazione dominante, contro il nazionalismo rivoluzionario democratico della nazione oppressa”( Trotskij).
 
 
9. Oltre la questione delle minoranze nazionali, noi abbiamo avuto in Italia, dal 1919 al 1921, degli altri movimenti autonomisti e separatisti: I due movimenti più caratteristici furono il movimento siciliano e sardo. Quali furono i loro caratteri?
Il movimento separatista siciliano era diretto da dei grandi proprietari terrieri e dalla grande borghesia siciliana. Questo movimento voleva separarsi dall’Italia non perché intendeva spezzare i legami burocratici e di dipendenza con lo stato borghese italiano, ma perché temeva che la rivoluzione scoppiasse in Italia. La grande borghesia siciliana tentò di sfruttare il malcontento delle masse operaie e contadine di fronte all’oppressione della borghesia continentale e dello stato italiano per dirottarli in una lotta contro la rivoluzione proletaria italiana.
Il movimento autonomista e separatista sardo, al contrario, si proponeva di spezzare i legami con lo stato italiano perché vedeva in questo l’ostacolo maggiore alle realizzazioni delle rivendicazioni sociali e culturali delle masse popolari della Sardegna.
Il primo fu dunque un movimento puramente reazionario. Il secondo, al contrario, fu un movimento rivoluzionario democratico. Quale doveva essere il nostro orientamento di fronte ai due movimenti? Nel primo caso, bisognava smascherare il separatismo della grande borghesia siciliana quale nuovo modo di sfruttare le masse operaie e contadine della Sicilia. Nel secondo caso, bisognava dimostrare alle masse della Sardegna che il loro separatismo non poteva che condurli alla disfatta e che il loro destino era strettamente legato a quello del proletariato italiano. Per raggiungere questo risultato bisognava pertanto, nei due casi, dimostrare con i fatti, tanto alle masse operaie e contadine della Sicilia e quelle della Sardegna, che il proletariato difendeva realmente i loro interessi e le loro aspirazioni contro l’oppressione burocratico-militare e culturale sia dello stato e della borghesia italiana, sia delle cricche semi-feudali siciliane e sarde. 
 
 
10. Per quanto riguarda gli errori e i crimini degli staliniani in quest’ambito, sarebbe necessario uno studio a parte. Tre cose, tuttavia, possono essere sottolineate:
1 - Gli staliniani hanno tradito la formula di Lenin - diritto delle minoranze nazionale all’autodecisione, compreso il diritto alla separazione dallo Stato - con “separatevi dallo Stato”. Come se fosse possibile, per queste minoranze, separarsi dallo Stato oppressore senza passare sotto l’oppressione di un altro imperialismo.
2 - Essi hanno spezzato il legame che esiste tra il problema della liberazione nazionale e quello della liberazione sociale del proletariato, cioè il problema della rivoluzione proletaria.
3 - Essi hanno messo nello stesso sacco i movimenti separatisti reazionari e i movimenti rivoluzionari democratici. Facendo ciò, essi sono caduti in un’accumulazione di aberrazioni tradendo gli interessi e le rivendicazioni delle minoranze nazionali e favorendo il gioco dei briganti imperialisti dell’uno o dell’altro campo.
 
1935
 
 
 
 
Pietro Tresso (1893-1943), militante nel P.S.I. insieme a Gramsci, fu tra i fondatori del PCd’I, prese parte al IV congresso dell’Internazionale Comunista. Membro dell’Ufficio politico, nel 1928. Nel 1930 fu espulso dal partito, ormai sottomesso a Stalin, insieme ad Alfonso Leonetti, e Carlo Ravazzoli perché si opponeva a Togliatti che sosteneva che il fascismo era prossimo al crollo e si doveva organizzare il partito alla presa del potere. Ciò significava il rientro dei militanti nello stato italiano.  I tre contestarono l’analisi togliattiana sullo stato del regime e respinsero la tattica sciagurata del “socialfascismo”: attaccare i partiti intermedi e i socialisti, definiti “socialfascisti”. I tre sostenevano la tattica del fronte unico, abbandonata dagli stalinisti. Combattente nella Resistenza francese, fu assassinato dai sicari stalinisti.