Ogni 25 aprile
è una giornata che non si può abbandonare alla ritualità dell’antifascismo
istituzionale, paludato e inconcludente. Tanto più il 25 aprile del 2023. La
classe lavoratrice italiana e tutti i settori oppressi della società, a partire
dal contingente proletario immigrato, si trovano a dover fronteggiare il governo
più reazionario del dopoguerra.
Un governo che, pur non ricalcando un regime fascista, ne eredita lo scopo sociale, di classe. Nel 1922 il fascismo italiano andò al potere sovvenzionato dal padronato per spezzare gli scioperi e distruggere l’esperienza rivoluzionaria del biennio rosso. Nel 1933 il nazismo salì al potere in Germania per condurre in porto il riarmo imperialista tedesco basato sul grande monopolio industriale e finanziario. Tra il 1937 e il 1939 il generale Franco condusse una sollevazione militare in Spagna per annientare la rivoluzione spagnola, instaurare un regime totalitario clerico-fascista e restituire terreni e fabbriche ai padroni. L’invariante è chiara: fascisti e nazisti, camice nere, brune o azzurre che siano, distrussero le organizzazioni del movimento operaio per curare gli interessi padronali, capitalisti e imperialisti.
Tra il 1943-’45 la resistenza partigiana e la rivolta operaia presentarono il conto alla dittatura fascista. In quella rivolta non viveva però solamente un’aspirazione democratica. Viveva la volontà di farla finita con la borghesia italiana che si era servita del fascismo. Viveva la volontà di rovesciare il capitalismo e di imporre il potere delle lavoratrici e dei lavoratori. Quella rivolta e il suo carattere rivoluzionario furono traditi da Stalin e dal PCI che subordinarono la Resistenza alla collaborazione di governo con la DC, fino ad una totale prostrazione esemplificata dall’amnistia ai fascisti (e la persecuzione giudiziaria dei partigiani) e il rinnovo del Concordato con la Chiesa. La politica di collaborazione di classe affossò ancora la rivoluzione sociale e le ragioni dei proletari quando, vent’anni dopo la Resistenza, una nuova generazione operaia rialzò la testa con la grande ascesa dell’autunno caldo e le sue conquiste sociali e democratiche (1969-’76). Fu nuovamente il PCI a sbarrarle la via con una seconda edizione del compromesso storico governativo con la DC (1976-’78).
Oggi il fascismo non è alle porte. Ma il riflusso della lotta di classe, favorito ancora una volta dal tradimento delle sinistre riformiste e post-staliniste implicate nei governi di centro sinistra con le loro politiche antioperaie, e dalla burocrazia sindacale che con Landini è arrivata addirittura ad offrire il proprio palco congressuale al capo dei post-fascisti, Giorgia Meloni, ha consentito ai suoi eredi di andare al governo. Costoro non si propongono più di abolire formalmente la democrazia, ma perseguono ugualmente lo scopo di rilanciare il capitalismo (attacco al reddito di cittadinanza, alle pensioni, defiscalizzazioni) e l’imperialismo italiano (in Libia, in Tunisia) non senza un ulteriore aumento delle spese militari. Ed è pronto anche lo strumento per sviare l’attenzione delle masse: il falso bersaglio costituito dalle e dai migranti che cercano di sfuggire alle tragiche conseguenze della nuova spartizione imperialista del mondo (guerre, devastazione ambientale, crolli economici, con il loro portato di disoccupazione, povertà e fame) a cui partecipano l’imperialismo italiano, gli imperialismi “occidentali” e i nuovi imperialismi di Russia e Cina. Fino a volere togliere loro le misere protezioni ancora consentite dalla legge.
Perciò il carattere della Resistenza che dobbiamo opporre oggi è chiaro: salariati e capitalisti, padroni e operai, sfruttati e sfruttatori. O si sta da una parte o si sta dall’altra. Ridisegnare questa linea di confine è centrale per lo sviluppo della coscienza, e lo sviluppo della coscienza è inseparabile dalla lotta, a partire dall’opposizione alla classe capitalista e ai suoi governi. È necessario costruire un’opposizione vera al governo delle destre dal versante del movimento dei lavoratori e dei giovani: un grande fronte unico di lotta. Si combatte davvero la reazione se si recupera e si infonde tra gli sfruttati la fiducia nella propria forza, se si avanza una piattaforma di lotta capace di unire le loro forze nella ribellione. Che ciò sia possibile lo dimostrano le giornate di lotta in Francia che si stanno susseguendo incessantemente, ma anche gli scioperi inediti per ampiezza, partecipazione e settori coinvolti, di Gran Bretagna e Germania.
Ma c’è un’altra necessità fondamentale per costruire una prospettiva di progresso, e non compiere gli errori del passato: costruire un partito indipendente della classe lavoratrice, anticapitalista e rivoluzionario. Un partito che stia sempre e solo dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori e di tutti i settori oppressi della società. Un partito che riconduca ogni lotta e rivendicazione immediata alla prospettiva della distruzione dello Stato borghese e della creazione di un governo delle lavoratrici e dei lavoratori, basato sulla loro forza ed autorganizzazione. Perché, oggi come nel 1945, l’unica vera alternativa alla barbarie del sistema capitalista è una alternativa rivoluzionaria e socialista.
Il Partito Comunista dei Lavoratori è impegnato ogni giorno in questa impresa. Per questo noi oggi, nel ricordare la Resistenza partigiana ed il suo carattere rivoluzionario, rivendichiamo la costruzione di ciò che allora mancò: il partito della rivoluzione socialista.
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