Lo scenario internazionale è segnato dalle contraddizioni tra vecchi e nuovi imperialismi per la spartizione del mondo.
I nuovi imperialismi russo e cinese, nati dalla restaurazione capitalista nei rispettivi paesi, rivendicano nuovi equilibri mondiali, dopo le disfatte USA in Iraq e Afghanistan. Da un lato l’estensione dell’area di influenza cinese in Medio Oriente, Africa e America Latina e la crescente minaccia contro Taiwan, dall’altro il rilancio della politica di potenza dell’imperialismo russo in Medio Oriente, in Africa, in Ucraina, sono il portato di questa politica imperialista. I vecchi imperialismi NATO a guida USA rispondono alla nuova sfida con l’allargamento dell’Alleanza Atlantica in Nord Europa, con la sua proiezione in Asia, con una politica di sanzioni e di protezionismo economico, con un incremento massiccio dei propri bilanci militari. La corsa generale agli armamenti è la risultante di tutto questo, e una minaccia mortale per il futuro dell’umanità.
È necessario contrapporsi a tutti gli
imperialismi, vecchi e nuovi, dal versante degli interessi internazionali della
classe operaia e di tutti i popoli oppressi.
È necessario contrapporsi innanzitutto all’imperialismo di casa nostra, quello targato NATO, che è sempre per noi il nemico principale. Contro i suoi governi, le sue sanzioni, i suoi bilanci militari (purtroppo ciclicamente votati dalle sinistre cosiddette “radicali” ogni qual volta accedono al governo, come nell’Italia di Prodi, nella Grecia di Tsipras, nella Spagna di Sanchez). E dunque al fianco di tutti i popoli colpiti dalle loro guerre d’invasione ed oppressioni: come a suo tempo il popolo di Iraq, di Serbia, di Afghanistan, e come sempre il popolo palestinese e il popolo kurdo.
Con lo stesso rigore vanno combattuti gli
imperialismi nuovi, le loro politiche di rapina (si pensi al ruolo della Cina
in Africa), le loro guerre imperialiste, come quella che il regime reazionario
di Putin ha scatenato contro l’Ucraina. Che non è né il prolungamento della guerra in Donbass del 2014, né
la “guerra per procura dell’Occidente” contro la Russia, ma è la guerra
dichiarata del regime putiniano contro l’esistenza stessa dell’Ucraina quale “invenzione
di Lenin” e il diritto di autodeterminazione da questi accordato. Una
guerra dichiaratamente neo-imperiale, anticomunista, di annessione. Una
guerra contro la quale schierarsi al fianco del popolo ucraino,
indipendentemente dalla natura borghese del governo Zelensky. Come era
giusto schierarsi col popolo irakeno, serbo, afghano, indipendentemente dalla
natura reazionaria di Saddam Hussein, di Milošević, dei Talebani. Come fu
giusto in un tempo lontano difendere l’Etiopia del Negus dalla guerra
dell’imperialismo italiano nonostante il sostegno all’Etiopia dell’imperialismo
britannico, il principale imperialismo d’epoca.
In realtà le simpatie aperte o latenti per l’imperialismo cinese e russo in settori significativi della sinistra non sono meno gravi della subordinazione ai governi NATO. Sono il riflesso di una eredità culturale dello stalinismo, spesso sopravvissuta al suo crollo. Sono una forma di arruolamento alla guerra anche quando invocano la bandiera della pace. La pace che noi rivendichiamo in Ucraina è una pace giusta senza annessioni. Una pace che richiede il ritiro delle truppe russe di occupazione. Una rivendicazione giustamente avanzata dalle compagne e dai compagni del Partito Operaio Rivoluzionario russo, contro il sostegno ai crediti di guerra da parte del Partito Comunista stalinista di Zuganov.
Ricostruire un punto di vista di classe e internazionalista, contro ogni forma di subordinazione a vecchi o nuovi imperialismi, è una necessità imposta tanto più oggi dai nuovi venti di guerra. “Se vuoi la pace, prepara la rivoluzione” diceva Karl Liebknecht. È una parola d’ordine più attuale che mai, a tutte le latitudini del mondo.
Ma non sono solo i venti di guerra a soffiare. In questi mesi importanti settori di classe operaia hanno rialzato la testa in diversi paesi europei. Accade in Germania come non avveniva da trent’anni. Accade in Gran Bretagna, con una ondata di scioperi per forti aumenti salariali che segna il superamento dopo quarant’anni della sindrome Thatcher. Accade soprattutto in Francia con una mobilitazione prolungata contro Macron e l’innalzamento dell’età pensionabile. Sono tutte dinamiche esposte ai limiti di direzione, politica e sindacale, del movimento operaio, al peso delle passate sconfitte, all’arretramento pregresso della coscienza politica di massa. E tuttavia esse dimostrano, contro tutte le ideologie disfattiste, le potenzialità di svolta della lotta di classe. L’unico terreno su cui può svilupparsi in prospettiva una alternativa vera. Non quella dei governi borghesi progressisti e dell’utopica “riforma sociale e democratica della UE”, come vorrebbero le sinistre “radicali”, né quella sovranista e nazionalista, magari vicina all’orbita russa e cinese, cara ad ambienti stalinisti e/o rossobruni: ma quella rivoluzionaria, anticapitalista, internazionalista. Quella dei governi delle lavoratrici e dei lavoratori, basati sulla loro forza ed autorganizzazione. Quella di una Federazione Socialista Europea (dal Portogallo alla Russia) che unisca tutti i salariati del continente, in alleanza con la classe lavoratrice e i popoli oppressi di tutto il mondo, a sostegno della loro liberazione. La costruzione di una sinistra rivoluzionaria continentale che sviluppi la coscienza della classe operaia in direzione di una prospettiva di rivoluzione è un terreno centrale di impegno del PCL, nel quadro della lotta più generale per la rifondazione di una Internazionale rivoluzionaria.
L’Italia è oggi purtroppo il fanalino di coda
della lotta di classe in Europa. La compromissione
della sinistra politica, con ruoli diversi, nel lungo ciclo delle politiche
antioperaie degli anni ‘90 e 2000 ha finito con lo spianare la strada alle
destre. Il governo a guida post-fascista di Giorgia Meloni è la registrazione
di questa dinamica. La burocrazia sindacale ha in tutto questo responsabilità
decisive, con il lasciapassare alle politiche di austerità (Fornero insegna) e
la collaborazione con tutti i governi. Così oggi mentre in altri paesi d’Europa
si esprimono mobilitazioni di massa, in Italia Maurizio Landini non batte
ciglio (al di là delle chiacchiere) ed anzi offre alla capa post-fascista
la passerella del congresso CGIL. Uno scandalo.
Rilanciare una opposizione di classe e di massa come in altri paesi è necessario e possibile. Ma implica una lotta radicale per un cambio di direzione politica e sindacale del movimento operaio italiano. Implica la battaglia controcorrente per una vertenza generale unificante della classe lavoratrice attorno ad una piattaforma di svolta (aumento generale dei salari di almeno 300 euro netti, riduzione dell’orario a 30/32 ore a parità di paga, patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco per finanziare sanità, scuola, opere sociali e ambientali, etc.). Implica anche la battaglia per una svolta radicale, unitaria e di massa, delle forme di lotta: che per esempio assuma l’esperienza di lotta della GKN (occupazione della fabbrica che licenzia, cassa di resistenza, rivendicazione della sua nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio) come indicazione da generalizzare entro una svolta di lotta complessiva. Solo così si possono rovesciare i rapporti di forza, strappare risultati, aprire la via di una alternativa di classe.
Non è un caso se solo il PCL in questi anni si è battuto sulla linea del fronte unico di classe e di massa e della svolta radicale del movimento operaio. Perché solo un programma di governo delle lavoratrici e dei lavoratori può liberare un intervento politico che sia al tempo stesso radicale e di massa, che sappia respingere sia l’opportunismo che il minoritarismo, che punti a sviluppare la coscienza della classe e della sua stessa avanguardia elevandola all’altezza del nuovo livello dello scontro, che lavori a costruire un’altra direzione del movimento operaio.
La classe operaia italiana non ha un proprio partito indipendente. Costruire questo partito è una necessità. Proponiamo un programma anticapitalista e rivoluzionario come base di questo partito, fuori da ogni illusione riformista. È il programma del Partito Comunista dei Lavoratori. La costruzione del PCL è un fattore decisivo della ricostruzione dell’indipendenza politica della classe lavoratrice.
Partito
Comunista dei Lavoratori